sabato, ottobre 28, 2006

NEL NOME DEL PADRE

Scrivo poco, lo so, preso da molte cose che servono a riempirmi la vita.
Eppure la vita a volte ti viene addosso come un sinistro autoarticolato, del tipo di quellì'icona del male che è l'autotreno di "Duel", opera giovanile di Steven Spielberg.
Ieri mattina stavo tornando da Roma e ho chiamato al telefono un amico, che è come e forse più di un fratello, che possiede quella saggezza, quel senso delle cose, quella profonda intelligenza degli altri che a me spesso fa difetto.
Ci completiamo, siamo come dice lui una "squadra".
Il mio amico appena qualche ora prima era stanco, dopo una settimana di lavoro intensa, ma sereno e contento, perché avrebbe dedicato il fine settimana alla famiglia, alle sue tre splendide bambine, in compagnia dei loro nonni, che dovevano partire dal loro paese in quel di Caserta alla volta di Roma, per stare assieme in occasione della "festa dei nonni".
E invece è toccato a lui tornare al paese, per sostenere lo strazio della morte improvvisa del padre.
Se la vita è una trama, un tessuto di legami, sentimenti, doveri, abitudini quotidiane, aspettative, nulla è più doloroso della lama acuminata che senza preavviso, senza ragione, con la violenza del fatto e del destino brutale, la squarcia in un punto, lasciando intravvedere dallo squarcio il mistero buio del suo senso inconoscibile.
So cosa significa perdere il Padre, ci sono passato. So che in quei momenti affiora un senso di colpa pesante e insensato, la sensazione di non aver fatto abbastanza, di non aver vissuto abbastanza quel rapporto, di aver lasciato che la quotidianità affogasse e diradasse più abbracci, più baci, più parole.
Tutto è insopportabile, inadeguato, vano e vacuo, anche le parole dette col cuore diventano frasi di circostanza.
C'è solo un momento in cui il groppo alla gola si scioglie e la morsa allo stomaco si allenta: quando, guardandosi allo specchio, una mattina, magari facendo la barba, si scorge nell'immagine riflessa qualcosa, uno sguardo, la piega della bocca, un piccolo sorriso, che apparteneva a Chi si è perduto, a Chi ci ha lasciato e ha chiuso gli occhi alla luce di questa vita, per aprirli per sempre, si spera, a una luce più grande, calda, luminosa, eterna.
Solo questo posso augurare al mio amico-fratello: che questo momento giunga presto.

sabato, ottobre 07, 2006

Un Prefetto "di ferro"

L'altra sera ho visto la terza puntata di "Anno Zero", questa volta dedicata alla mafia.
Pare che la nuova trasmissione di Santoro non faccia grandi ascolti, forse perché con l'uscita dalla scena governativa di Berlusconi anche il biondo-cinereo anchor man, ritornato dall'esilio televisivo, ha perso mordente.
Nè maggior aiuto sembrano dargli una ragazzina di nobili origini e alto lignaggio, che poco sembra poter rappresentare il punto di vista dei giovani d'oggi (tra studi stentati, telefonini, disoccupazione e call center), la pur bella e grintosa Rula Jebreal e il robespierre Marco Travaglio, che legge tutta la realtà esclusivamente negli atti giudiziari, anche lui con poco mordente vista l'eclissi del protagonista principale dei suoi libri e instant book.
La trasmissione ha aggiunto assai poco a quello che si sapeva e si sa della "nuova" mafia, e dell'inabissamento della strategia stragista del '92-93.
Ha toccato però un punto molto bello e alto quando ha parlato dell'ex Prefetto di Trapani Fulvio Sodano.
Sodano fu Prefetto di Trapani sino al 2003 e venne trasferito, senza il suo consenso e nonostante fosse già malato (di sclerosi laterale amiotrofica, s.l.a.).
Ora è in fase avanzata di malattia, ridotto su una sedia a rotelle, con un tubicino che gli entra in gola e lo fa respirare attraverso un c.d. "ventilatore", che gli pompa aria nei polmoni avendo perso la funzionalità della muscolatura polmonare, oltre che di tutti gli altri muscoli; riesce ancora a scrivere con la mano atrofica e contorta qualche parola a stampatello, assistito dalla moglie.
Si dice che Sodano fu trasferito perché cercò di evitare che un'impresa di calcestruzzi, confiscata alla mafia, tornasse in mano a imprenditori mafiosi trapanesi, grazie a una compiacente perizia di un funzionario dell'agenzia regionale siciliana del demanio, ora indagato per concorso mafioso, e dopo che con un passaparola, cui pare avesse partecipato anche il senatore forzista D'Alì, all'epoca sottosegretario agli interni e ora presidente della provincia di Trapani, e anche l'associazione locale degli industriali, era stato vivamente raccomandato alle imprese costruttrici di acquistare calcestruzzo da altre imprese, in mano a quegli imprenditori in odore di mafia che avrebbero potuto acquistare l'impresa confiscata ove posta in liquidazione e quindi venduta sul "libero" mercato.
Qualche malpensante, in qualche sito internet trapanese, giunge a ipotizzare che Sodano fu trasferito anche se non soprattutto per pressioni del senatore D'Alì, già sottosegretario al ministero dell'Interno e collega di partito del Ministro Pisanu.
Intervistato, Sodano ha confermato, come poteva, con cenni del capo e le lacrime agli occhi di essersi opposto alla "svendita" di quella impresa, di aver ricevuto qualche rampogna dal D'Alì, di esser rimasto solo e di esser sicuro che il suo trasferimento sia stata una punizione per aver cercato di fare soltanto il proprio dovere. E alla fine, con sforzo, ha scritto un breve messaggio di speranza che le cose possano cambiare, anche se ci crede poco.
Certo, se l'uomo non fosse malato, molto malato, l'impatto emotivo di quella intervista sarebbe stato assai minore; ma pare di capire che era malato, anche se in stadio meno grave, anche quando ne fu disposto il trasferimento.
E poi non è nemmeno questo quello che conta. Se la storia è vera, se cioé qualcuno ha allontanato un Prefetto solo perché stava cercando di opporsi ad una manovra speculativa per riportare sotto il controllo d'imprenditori "pungiuti" un'impresa già confiscata a mafiosi e che comunque dava fastidio a imprenditori mafiosi; e se questo fastidio era condiviso dall'associazione locale degli industriali, e spiaceva in qualche modo al potente politico di riferimento della zona (poco importa davvero il suo "colore" politico)è una storia agghiacciante e istruttiva.
E' la storia di uno degli "eroi" solitari dello Stato, di uno di quei funzionari che fanno onore allo Stato, e a cui lo Stato, nelle sue personificazioni politiche, fa disonore.
Diceva Brecht che sono felici solo i popoli che non hanno bisogno di eroi.
E aveva ragione, ma forse per ragioni opposte a quelle che sottintendeva.
E' paradossale che si debba essere e si sia eroi solo perché si fa il proprio dovere, cioé ciò che dovrebbe essere scontato, normale, nemmeno degno di lode particolare.
Ciò che dovrebbe essere ordinario, diventa straordinario, il funzionario qualunque di ordinaria diligenza diventa un eroe.
Ma quando lo Stato si lascia rappresentare in modo indegno, quando non protegge e anzi punisce i suoi servitori fedeli, e quelli rimangono soli, bene allora è proprio giusto definirli eroi.
E' una lezione anche per me, che mi ricordi sempre, attraverso l'immagine del povero prefetto Sodano, di fare "la cosa giusta", sempre e comunque, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi costo: perché sono figlio di un Uomo che chiamava lo Stato, di cui pure era fedele funzionario, con la "S" maiuscola.