mercoledì, aprile 05, 2006

Il piccolo mondo di Guareschi

Leggo il commento di Chris al mio post sui ladri di merendine, penso alla sua pianura padana, che conosco poco ma che ricordo bene nel biancoenero dei film tratti dai racconti di Giovannino Guareschi.
A guardare una cartina della zona ci si accorge che Casalbaroncolo, e i paesini minuti di questa storia, ai confini tra le provincie di Parma e Reggio Emilia, sono a un tiro di schioppo da Brescello, il paese in cui appunto Guareschi ambientò le gesta di Peppone e Don Camillo; film acquistati a suo tempo da Mediaset e saggiamente ritrasmessi ogni anno in versioni restaurate.
Da quei film emerge la terra grassa e piatta, gli argini dei fiumi e torrenti, oltre al grande padre Po, le cittadine coi porticati e le chiese parrocchiali al centro delle piazze principali, i filari di alberi vertiginosi che delineano strade bianche, carrarecce o di poco e consumato asfalto, le vecchie e pesanti biciclette nere e le motorette scoppiettanti, i vecchi camiono OM o "musetto" Fiat, i treni a vapore e le carrozze di terza classe coi sedili di legno.
Certo le immagini a colori dei TG restituiscono gli stessi luoghi, ma quanto diversi e disincantati: i casolari sono gli stessi, ma hanno le antenne paraboliche, gli infissi di anticorodal, i segni di un precario benessere.
E le persone? Qualche balordo, anche nei film di Peppone e Don Camillo, ce n'era anche allora, ad esempio il compagno ottuso che vende l'anima allo smaliziato e bigotto dottore del paese, ma poi vuole ricomprarsela perché è ottuso non "coglione", come direbbe Berlusca. Oppure la Gisella, agit-prop femminista antelitteram che umilia il marito meridionale e finisce con le terga colorate di rosso minio, e alla fine cerca di conciliare meglio famiglia e partito.
Ma i bambini, in quella bassa padana di cinquanta anni fa, erano davvero sacri: ed è la nascita di un bambino sotto al colonnato del domicilio dove il padre, piccolo proprietario, si è accampato per protestare contro il suo fittuario che non vuol restituirgli terra e cascina, che seda gli animi e li riconcilia.
E' il pericolo di perdere l'ultimo nato, il piccolo Camillo Libero Lenin, che induce Peppone a portare un cero in chiesa alla Madonna, e poiché ha offeso il Cristo Don Camillo ne compra un altro più piccolo a spese sue e lo accende al Crocifisso, cui racconta la bugia che il cero lo ha comprato Peppone; e Camillo Libero Lenin si salva.
I bambini erano sacri dappertutto, del resto, salvo forse in sacche di miseria e arretrarezza spaventosa del meridione, quelle stesse che ora rivediamo nelle immagini delle periferie di terzo e quarto mondo; e chi ha dimenticato i carusi che si spezzavano la schiena nelle zolfatare siciliane, di cui Pirandello, figlio di un industriale zolfataro, ha raccontato in "Ciaula scopre la luna"?
Facile dire, qualunquistico, sociologico, banale, che ormai i bambini, gli anziani, le donne sono fasce a tutela molto debole e depotenziata, che se le famiglie si sgretolano e non funzionano i primi a farne le spese sono loro, che gli Alessi sono dei mostri perché come si fa a pensare di rapire un bambino malato se si è genitori di un bambino malato (anche i capi dei campi di concentramento e sterminio nazisti carezzavano i loro figli quando tornavano a casa, magari dopo aver gassificato qualche migliaio di bambini ebrei).
C'è troppo rumore, troppa confusione, troppa follia in questo mondo, e non solo nelle metropoli, ma anche nelle piccole città, nelle città dei mille comuni italiani.
La cosa migliore forse è chiudersi un bel po' in raccoglimento a riflettere che il mostro non è solo quello della porta accanto, in ognuno di noi forse c'è qualcosa di potenzialmente mostruoso; riconoscerlo è il primo passo per annientarlo.