giovedì, giugno 01, 2006

Questioni di stile


La mia generazione aveva quattordici anni quando fu ucciso Luigi Calabresi, "il commissario", e ricorda le immagini in bianco e nero dei telegiornali, la pozza scura del sangue nell'angusto spazio tra due automobili, di quelle comuni rigorosamente nazionali, anzi "Fiat", che circolavano allora.
E se all'epoca della strage di piazza Fontana eravamo più piccoli, comunque avevamo avuto modo di conoscere, quali "contemporanei", la bomba piazzata nella sala circolare della Banca nazionale dell'agricoltura di Milano, la morte per "precipitazione" da una finestra del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, i sospetti su quel suicidio che molta parte della sinistra parlamentare ed extraparlamentare considerava un omicidio, o una messinscena di suicidio, gli slogan dei cortei ed uno in particolare "La strage è di stato, Pinelli assassinato", che nel 1972 si aggiornò in "Feltrinelli assassinato", quando l'editore rosso Giangiacomo, di sicure pulsioni rivoluzionarie, restò dilaniato sotto un traliccio dell'alta tensione da una bomba che, si disse, stava "piazzando" in prima persona (ma pochi ci credettero, almeno all'epoca).
Era, e rimane nonostante i tanti processi, dei quali quello di piazza Fontana chiusosi dopo infiniti dibattimenti in varie diverse sedi processuali senza colpevoli ufficiali e certificati, il periodo più oscuro e nebuloso della storia recente dell'Italia repubblicana.
Ma di quella nebulosa di immagini, titoli di giornali, cortei, slogan, bombe, sangue, pallottole, gruppuscoli di destra eversiva, gruppuscoli di sinistra rivoluzionaria, infiltrati, processi, rimane nitido un ricordo: l'immagine di "assassino" che, a torto o ragione, e molto probabilmente a torto, una generazione giovanile si fissò negli occhi, nella mente e nel cuore, del commissario Luigi Calabresi.
Non so dire se il suo omicidio, starei per dire nella logica dei suoi assassini la sua "esecuzione", ebbe davvero Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti e Leonardo Marino e Ovidio Bompressi come esecutori materiali.
Una verità processuale, stabilita dopo un tormentato processo costellato di annullamenti della Cassazione e rinnovazioni dei giudizi di appello, vuole che appunto i quattro, in quei ruoli, abbiano compiuto quel delitto.
Una verità politica, questa non controvertibile, è che Luigi Calabresi fu additato come il boia di Pinelli, il prezzolato poliziotto al servizio di trame oscure, il "nemico del popolo" per antonomasia.
Ed è incontestabile che tra i più tenaci accusatori di Calabresi, che gli cucirono addosso l'immagine che si fissò nella mente e nel cuore della mia generazione e di quella immediatamente precedente(cioé del mondo giovanile sensibile alla politica), vi fu "Lotta continua", giornale-movimento di cui Adriano Sofri era il leader indiscusso e Pietrostefani e Bompressi dirigenti autorevoli.
E' comprensibile e umano che gli ex di LC disseminatisi nel mondo dell'informazione e della cultura (compresi i Lerner, i Mughini, e via andare) o qualche ex PCI amico alla Ferrara credano e giurino sull'innocenza di Sofri.
E' innegabile che l'Adriano Sofri giornalista e commentatore autorevole, che ha scritto reportage da Saraievo e intelligenti "lettere dal carcere" di Pisa su Panorama, sia persona stimabile e perbene.
Certo le "lettere dal carcere" e i quaderni di Antonio Gramsci non ebbero la stessa immediata diffusione e fortuna, ma c'era una dittatura, un regime, e in più Gramsci morì giovane, finito di consumare dal carcere non avendo salute di ferro.
Personalmente, e sul piano giuridico, ho dissentito dalla pretesa di Castelli di considerare come "duale", ed in senso politico, il potere di grazia, che, come poi riconosciuto dalla Corte Costituzionale, appartiene invece al solo Presidente della Repubblica.
E' vero però che questo istituto di antiche origini, espressione storica di un potere proprio dei sovrani assoluti, poi passato alle monarchie costituzionali, si attaglia molto meglio a delitti comuni che a delitti "politici", o se vogliamo essere precisi a delitti comuni di matrice e ispirazione "politica".
Per questi ultimi, se e in quanto sia possibile sotto il profilo storico e appunto politico, sono più congeniali atti di clemenza "collettivi", ossia amnistie e indulti.
Ma amnistie e indulti in questa materia sono a loro volta comprensibili solo quando si inaugura una stagione che chiuda, con passaggi più o meno sanguinosi seguiti da una rilegittimazione popolare del potere, una stagione precedente, in cui un potere, che non ha mai avuto o ha perso legittimazione popolare o democratica, abbia commesso delitti.
Tanto per intenderci: ancora si discute sulla famosa "amnistia Togliatti" dei delitti dei gerarchi fascisti, e della mancata "epurazione" delle classi dirigenti fasciste, riciclatesi in larga misura nella classe dirigente repubblicana; e son passati si badi, sessant'anni; e quella amnistia aveva comunque quale retroterra una guerra, e anche una guerra civile, e milioni di morti, e il passaggio dalla dittatura fascista alle libertà costituzionali e democratiche del nuovo regime repubblicano.
Ho la sensazione quindi che sia prematuro, ancora molto, se non del tutto inappropriato, invocare una "amnistia" per chi si è macchiato di delitti nella stagione del terrorismo e della delinquenza politica, con buona pace di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi, Cossiga e circoli politico-culturali.
Anche perché non c'era un "regime" o una "guerra civile" che in qualche modo potesse legittimare terrorismo e guerra civile, come invece, ad esempio, per il terrorismo etnico basco o quello religioso irlandese.
E' davvero un nodo arduo: difficile immaginare l'adeguatezza della grazia, ancor più la percorribilità della strada dell'amnistia.
O meglio, va bene la grazia solo se giustificata da ragioni "umanitarie", riferite cioé alle sole condizioni di salute che rendano inutile nei suoi fini afflittivi e rieducativi l'espiazione della pena (e mi auguro perciò che le ragioni di salute di Bompressi siano vere, radicate e fondate, come non dubito peraltro).
Ciò vale a più forte ragione per Sofri, che come si sa è stato molto male, è sopravvissuto per miracolo e la cui salute potrebbe oggi essere seriamente minata.
Certo, non sarebbe stato sbagliato se la concessione della grazia a Bompressi fosse stata preceduta da un'iniziativa tesa a informare la vedova e i figli di Calabresi, se si fosse atteso ancora qualche mese, se non si fosse trattato quasi del primo atto del Presidente Napolitano, se questi avesse affidato la notizia a un più compassato comunicato stampa anziché a dichiarazioni in video.
Questioni di stile, forse: ma da un Presidente del cui stile non si è mai dubitato era legittimo attendersi un po' più di stile e sensibilità.