venerdì, settembre 15, 2006

LA LEZIONE DI ORIANA FALLACI


Oriana Fallaci se ne è andata in una notte settembrina, nella sua Firenze. L'alieno con cui combatteva da anni, e che aveva approfittato della sua ultima grande battaglia contro il terrorismo islamico e del ritardo con cui aveva contrastato l'offensiva decisiva del cancro, ha vinto alla fine, come lei sapeva da almeno quattro anni.
Se una grande, grandissima donna, un'immensa scrittrice e giornalista, così bella, lucida, appassionata da far invidia ad una trentenne, lascia che l'alieno le invada il corpo per combattere una battaglia culturale, in realtà l'alieno non può aver vinto veramente; anche se ora Oriana Fallaci ha gli occhi chiusi e la sua voce è inaudibile, basterà aprire e rileggere i volumi della sua trilogia della civiltà per tornare ad ascoltarne la voce e a ritrovarne il pensiero forte, così inusuale ai tempi del pensiero "debole" da risultare insopportabile ai tanti capaci solo di pensieri deboli, flebili, quasi non-pensieri; così insopportabile che, non potendo negare la grandezza della persona, sono già cominciati i "distinguo" tra la Fallaci del "prima" e quella del "dopo" 11 settembre.
Credo che Oriana Fallaci avrebbe seppellito con disprezzo questo ennesimo dileggio, che è l'ultima ingiuria che si cerca di infliggerle.
Dopo aver letto "La forza della ragione" cercai e trovai indirizzo e numero telefonico di Paola, la sorella di Oriana, e spinto da un impulso di ammirazione e rispetto la chiamai, spiegando di essere semplicemente un lettore che voleva congratularsi con Oriana, farle giungere sentimenti di ammirazione e, per quel poco che poteva valere, incoraggiamento alla sua battaglia culturale.
La signora Paola mi spiegò che Oriana, proprio quel giorno, era andata a Milano per una visita medica o forse una chemioterapia, e con inusitata gentilezza annotò i miei numeri di telefono.
Potevo essere chiunque, un seccatore importuno o anche peggio, eppure Paola Fallaci fu cortese e disponibile.
Quella stessa sera di estate (due anni fa), Oriana mi chiamò. Ero a cena in un ristorantino sul mare, e sul mare scuro della sera estiva le parlai forse per quindici minuti, ascoltando una voce stanca ma bella, calda, intensa come la intensa bellezza del volto segnato da piccole rughe, incorniciato da lunghi capelli lisci, illuminato da occhi grandi e profondi, quel viso così bello che aveva fatto innamorare Alessandro Panagoulis, eroe della resistenza nella Grecia dei colonnelli, ucciso per saldare i conti con la sua tenace resistenza al regime.
Oriana Fallaci mi disse che aveva poco tempo, pochissimo tempo davanti, che non avrebbe potuto leggere il mio piccolo romanzo, che comunque le mandai con una dedica e una lettera carica di rispetto, ammirazione, gratitudine.
E quel poco tempo doveva spenderlo, aggiunse, per continuare a scrivere e a cercare di interpretare fino in fondo quel ruolo tragico di poco ascoltata Cassandra che aveva scelto di incarnare dinanzi al declino dell'Occidente e all'emersione della Eurabia (le stragi di Londra erano ancora, di poco, di là da venire).
E' curioso, ma del tutto emblematico, che Oriana Fallaci se ne sia andata in una notte di settembre, a qualche ora dal "memorial day" del primo quinquennio dell'11 settembre, mentre infuriano le reazioni al discorso del Papa a Ratisbona.
Spero che Oriana abbia avuto modo di sentire quelle frasi e quelle parole del Papa e che le siano state di conforto, perché finalmente la Chiesa cattolica ha detto ciò che per anni non ha saputo e voluto dire, adeguandosi al timore reverenziale che circonda questo pavido e incerto occidente di Eurabia circa ogni cosa che riguardi l'Islam.
Benedetto XVI è un Papa teologo, e forse per questo, pur non avendo il "carisma delle folle" di Giovanni Paolo II, non ha esitato a condannare l'idea della Jihad e che questa possa essere gradita a Dio: parliamo qui della jihad come guerra vera, che identifica il nemico nell'infedele, che pretende di imporre la propria visione religiosa con la forza ("la spada del Profeta", che campeggia nella bandiera araba), non della jihad che, è stato spiegato, sarebbe sforzo mistico di lotta dell'uomo con se stesso per affermare in se l'idea e la realtà di Dio.
Le reazioni sdegnate suscitate in tutto il mondo islamico danno ragione una volta di più a Oriana Fallaci (e a quel grande e coraggioso intellettuale che è Magdi Allam): non esiste, in effetti, un Islam "moderato", un Islam dialogante; e non può esistere sinché l'Islam non scioglie i nodi ambigui che intrecciano religione e politica, cose di Dio e cose degli uomini.
Al di là di personali giudizi sulle radicali differenze tra cristianesimo e islamismo (l'uno fondato su un Dio di amore e amico, che esalta tanto la libertà degli uomini da lasciare al cuore degli uomini la scelta se amarlo o meno, l'altro fondato su un Dio padrone, corrucciato e irato, che apprezza solo la sottomissione e non ama altra libertà che la propria) e sulle loro radici (il Dio cristiano si fa Uomo e muore per la salvezza dell'Uomo, il Dio islamico rimane lontano, algido e chiede che l'uomo muoia per dimostrargli incondizionata fedeltà), se la spada di Maometto non sarà riposta nel fodero, se i musulmani non comprenderanno, se mai lo potranno senza negare i fondamenti della loro religione, che la religione non può essere il fine della politica, né la politica il mezzo della religione, che questa idea abbassa e umilia la religione, non potrà mai porsi una vera linea di demarcazione tra un Islam buono e in grado di dialogare e un Islam fondamentalista che non condanna, quando non protegge e alimenta, i terroristi che usurpano il nome di Allah.
Gli avvenimenti di questi ultimi giorni, le parole del Papa, le reazioni del mondo islamico, il solito imbarazzo euroarabico nel condannarne la tracotanza, che vorrebbe chiudere la bocca al Capo della Chiesa, forse avrebbero fatto piacere a Oriana la "visionaria", la profetessa disarmata che aveva visto più e meglio, e il cui testimone è nelle mani di Allam e di quanti non hanno paura delle verità scomode me così necessarie.
La cecità dell'Eurabia è per tanti versi sconfortante: il suo declino economico, culturale e di valori si accompagna alla povertà del pensiero "debole", alla falsa idea di tolleranza come disponibilità alla sottomissione, alla cattiva coscienza per cui si accetta che le "enclave" musulmane costruiscano una società nelle nostre società, neghino i diritti delle donne, pretendano scuole islamizzate e coranizzate e rifiutino i crocifissi nelle nostre aule quale contropartita dei lavori "sporchi", sottopagati, usuranti che i loro uomini accettano di svolgere a salari più bassi finanziando il nostro sistema previdenziale, con quell'irrisolto complesso di colpa che deriva dal vecchio colonialismo e da vecchie vessazioni inflitte al mondo musulmano.
Era questo il clima che portava a vedere nel Nazismo una reazione legittima alle umiliazioni inferte alla Germania uscita sconfitta e distrutta dalla prima guerra mondiale, che alimentò la mollezza delle diplomazie europee, che consentì a Hitler di procedere indisturbato con occupazioni e annessioni, salvo il risveglio brusco dell'inizio della seconda guerra mondiale.
Oriana Fallaci parlava di Nazismo islamico, e così ne parla anche Magdi Allam: ma i nostri politici e intellettuali di complemento, preoccupati di un eterno appeacement con il mondo islamico, rigettano appelli e profezie, discutono su se e come si debba pretendere che l'Iran rinunci al nucleare, blandiscono hezbollah e Siria, rivalutano in qualche modo il regime di ordine di Saddam, si sciolgono in elogi e carezze all'Islam moderato, che è come l'isola che non c'è, si vergognano delle incontestabili radici cristiane della civiltà occidentale.
La libertà occidentale è la libertà che, ancor prima dell'Illuminismo e della rivoluzione francese, è stata affermata duemila anni fa da Cristo, proclamata nei Vangeli, sostenuta da quei "mujaheddin dell'amore" che erano i primi cristiani, resistenti al potere senza armi. Quei mujaheddin hanno vinto la loro battaglia spargendo solo il proprio sangue; questi mujaheddin islamici la perderanno, nonostante spargano tanto sangue di altri, perché la libertà è una vocazione naturale dell'uomo, parola incisa nel suo animo dal dito di Dio, e non di un profeta la cui spada è meno acuminata della verità.