martedì, aprile 11, 2006
La "gelata" della "primavera" pugliese
"E' un risultato di portata storica perche' si profila una sconfitta nettissima di Berlusconi e della Cdl", dichiarava Massimo D'Alema ieri pomeriggio dal comitato elettorale dell'Ulivo di Bari, poco prima di partire per Roma con il suo fedelissimo, sen. Nicola Latorre.
E' forse l'infortunio politico più grave del leader diessino dopo la sconfitta alle regionali del 2000 che aprì la strada alla crisi del governo da lui presieduto e alla formazione dell'ultimo governo di quella legislatura guidato da Giuliano Amato.
E' probabile che la stanchezza di una campagna elettorale in cui D'Alema si è speso moltissimo, in Puglia e Campania, gli abbia giocato un brutto scherzo. Gli exit polls Nexus devono aver allentato la tensione e l'attenzione spingendo il politico forse più accorto e abile di tutto il centrosinistra a dichiarazioni imprudenti e del tutto avventate.
Vero è che anche l'on. Tabacci, nelle stesse ore, ospite di Bianca Berlinguer su Rai Tre, si lasciava andare a dichiarazioni altrettanto incaute sulla crisi totale della leadeship berlusconiana all'interno della CdL, esse pure smentite da un risultato che, dal punto di vista del Cav., è il suo vero "miracolo italiano".
Ma D'Alema è D'Alema, il presidente dei DS, un ex presidente del Consiglio, in predicato di cariche istituzionali importanti nel parlamento o nel nuovo governo, uno dei quattro leader che contano davvero nell'Unione (assieme a Fassino, Rutelli e Bertinotti).
Il suo "infortunio" è più serio, indica un momento evidente di appannamento di cautela e lucidità politica, e, dati i risultati elettorali pugliesi, ne rende almeno problematica l'aspirazione a proporsi come referente politico nazionale unico della Puglia all'interno dell'Unione.
L'unico partito del centrosinistra che ha tenuto e anche un po' guadagnato, da queste parti, è Rifondazione Comunista, che però fa corsa a se e dispone di un elettorato fedele oltre che di indubbia capacità attrattiva su alcuni segmenti di società, e che comunque esprime il presidente della Regione, Nicki Vendola.
Gli altri sono andati maluccio, e sopratutto è andata molto bene Forza Italia, con risultati tra il 27-28% e punte del 40% (a Monopoli, provincia di Bari), con un indiscutibile successo personale del coordinatore regionale Raffaele Fitto, che si prende una sostanziosa rivincita dopo la sconfitta delle regionali 2005 in cui non riuscì a esser riconfermato presidente della Regione, e si propone, eletto ora alla Camera, come vero e unico referente nazionale di Forza Italia nella Puglia, in una regione cioé che è tornata roccaforte della CdL dopo l'effimera "primavera" del 2004 e del 2005 e l'affievolimento della "onda Emiliano", forse infrantasi anche contro gli scheletri di Punta Perotti.
I quotidiani regionali non hanno mancato di porre in luce il ridimensionamento del centrosinistra, sopratutto a Bari e nella sua provincia, che suona come segnale di profondo allarme per il Sindaco di Bari, Michele Emiliano, e per il presidente della Provincia, Vincenzo Divella; quest'ultimo poi ha dovuto ingoiare altri due bocconi amari: il modesto risultato dell'Udeur e del candidato capolista Pignataro, per cui si era speso, e l'elezione del cugino-rivale aennino Francesco Divella a senatore.
Insomma, quella Puglia che enfaticamente soltanto un anno fa veniva indicata come il laboratorio politico del centrosinistra, sembra aver mandato un segnale di riallineamento alle tradizionali posizioni moderate che ne hanno fatto, dal 1994 in poi, una roccaforte polista, forzitaliota e aennina (grande è stato anche il successo dell'Udc).
Il commento più serio e meditato sembra quello del fondo del Corriere del Mezzogiorno, che individua le cause della sconfitta del centrosinistra nella pochezza della classe dirigente locale, partitica e istituzionale.
E' anche probabile che, per un popolo "levantino" e concreto come quello barese e pugliese più in generale, i grandi disegni di macroprogrammazioni, gli scenari un po' visionari disegnati da Vendola, le promesse di magnifiche sorti e progressive di Emiliano incantino e premino assai meno che le piccole cose dell'amministrazione quotidiana, dalla sporcizia delle città, al problema irrisolto dei rifiuti (con le discariche che vanno rapidamente esaurendosi), alla stagnazione delle soluzioni delle questioni energetiche (non partono i termovalorizzatori, l'eolico è stato congelato, il rigassificatore di Brindisi non si sa se si farà mai), alla crisi produttiva e occupazionale indotta dalla concorrenza delle tigri asiatiche nei comparti dell'abbigliamento, del calzaturiero e del mobile.
Non c'è che dire: il centrosinistra ha molto da meditare sulla Puglia e su come nell'arco di appena un anno la "primavera" pugliese sia stata illividita da una fortissima "gelata".
LA TENTAZIONE PUGLIESE
Sono andato a letto alle 3.00, quando era ormai chiaro che l'Unione aveva vinto alla Camera, sia pure per uno scarto risicato di voti popolari ma più che sufficiente in seggi col premio di maggioranza, e sembrava certo che la CdL avesse vinto al Senato, sia pure di un solo seggio.
I voti degli italiani all'estero diranno una parola definitiva sull'assegnazione dei seggi al Senato, e potrebbero determinare una vittoria sia pure giocata su cinque-sei seggi dell'una o dell'altra parte.
Accendendo stamane la tv ho appreso che lo scarto di voti popolari sulla Camera sarebbe di circa 25mila, e sembrerebbe che la CdL sia determinata a chiedere la verifica dei voti annullati, una sorta di conta supplementare modello Florida.
Se così andasse si tratterebbe di un deja vu, a livello nazionale, di quanto accaduto in Puglia per le elezioni regionali 2005.
L'anno scorso il voto disgiunto previsto dalla legge elettorale regionale pugliese fece sì che il candidato di centrosinistra Nicki Vendola sopravanzasse quello di centrodestra e presidente uscente Raffaele Fitto di appena 14mila voti, cioé in percentuale sicuramente più dei 25mila delle attuali politiche.
Ne nacque un contenzioso elettorale risolto nel dicembre 2005 con una sentenza del Consiglio di Stato che, confermando una sentenza del TAR Puglia, decretò l'inammissibilità del ricorso presentato da vari candidati della CdL, cui si era poi associato lo stesso Fitto.
Certo, in quel caso si trattava di voto amministrativo e non politico, tutto si giocava sui tavoli dei giudici amministrativi, occorreva dimostrare che vi erano sufficienti elementi per autorizzare un riconteggio dei voti (in termine tecnico, una verificazione), e il ricorso contro il risultato regionale non ci riuscì, almeno ad avviso delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato.
Qui la verifica sarebbe compiuta dalla Giunta per le elezioni della stessa Camera dei deputati, e non potrebbe non risentire della politicità del "giudice" chiamato a valutare le condizioni anzitutto di ammissibilità dei ricorsi e poi, eventualmente, la validità delle schede annullate e contestate.
D'altro canto, se è vero che le schede in contestazione si aggirerebbero attorno al mezzo milione, è abbastanza agevole pensare che in quel vasto paniere ci sarebbero voti attribuibili all'una o all'altra parte, che probabilmente non sposterebbero di molto il dato finale.
In ogni caso, essendo il Parlamento (Camera e Senato) chiamato in tempi stretti alla votazione per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, e prima ancora dei Presidenti dei due rami dello stesso parlamento, e in tempi abbastanza ravvicinati all'approvazione del documento di programmazione economica e finanziaria in vista della legge finanziaria e delle manovre anche correttive di finanza pubblica, un ingorgo come quello determinato dal riconteggio dei voti non potrebbe non determinare ricadute negative sull'intero assetto istituzionale, e l'incertezza sul risultato elettorale avrebbe grande impatto sui mercati finanziari, potendo preludere a scenari di declassamento del paese nei "rating" delle principali agenzie internazionali.
La Bonino ricordava ieri, in una conferenza stampa di tardissima serata, che Richard Nixon, che pure perse per uno scarto molto ridotto di voti le presidenziali americane del 1960 contro John Fitzgerald Kennedy, si riconobbe lealmente battuto senza invocare riconteggi e così legittimò la vittoria dell'avversario.
Le cose andarono diversamente nelle elezioni presidenziali americane del 2000, quando per parecchi giorni si assisté a un balletto di decisioni tra Corte Suprema della Florida e Corte Suprema Federale, riconteggi avviati e fermati, alla fine dei quali Bush jr. risultò vincente con non poche ombre e dubbi sull'effettività di quella vittoria.
Il senso di responsabilità istituzionale dovrebbe suggerire, a questo punto, di evitare ulteriori lacerazioni e contestazioni, tenuto conto che il senso politico complessivo del risultato elettorale è comunque chiaro: l'Unione vince di pochissimo in termini di voti popolari, la CdL non esce affatto distrutta dal confronto, il paese è diviso all'incirca a metà, i problemi sono gravi e incombono, il bipolarismo multipartitico all'italiana si è avvitato su se stesso, occorre uno sforzo di ricomposizione delle spaccature che probabilmente non può non passare attraverso una scomposizione e ricomposizione del quadro politico.
Se questo paese avesse una classe politica dirigente responsabile, si dovrebbe fare una grosse koalition con i quattro partiti maggiori, fissare un'agenda di azioni di governo improcrastinabili, preparare magari un'assemblea costituente (credo che il referendum costituzionale confermativo manderà negli archivi, a questo punto, la riforma votata a maggioranza dalla CdL).
Non accadrà probabilmente niente di tutto questo. L'Unione governerà, come potrà, farà campagna acquisti al Senato (come fece lo stesso Berlusconi nel 1994 e come avvenne per il governo D'Alema nel 1998), il governo durerà c'è da giurarlo molto meno dei cinque anni promessi da Prodi, si correggerà la legge elettorale e si tornerà a votare nell'arco di un anno e mezzo due anni.
Nel frattempo il paese continuerà a declinare, non si faranno riforme condivise ed essenziali, occorrerà raschiare il fondo del barile per trovare le risorse finanziarie.
A meno che... a meno che, altro scenario possibile, il risultato non accelleri la formazione di due partiti (democratico e casa dei moderati) e di un terzo polo centrista, che finisca per stabilizzare il quadro politico.
Un ritorno al passato? Forse sì, ma è proprio sicuro che gli italiani col voto di ieri non vogliano proprio questo risultato?
In ogni caso, mi auguro che la tentazione pugliese resti soltanto tale.
I voti degli italiani all'estero diranno una parola definitiva sull'assegnazione dei seggi al Senato, e potrebbero determinare una vittoria sia pure giocata su cinque-sei seggi dell'una o dell'altra parte.
Accendendo stamane la tv ho appreso che lo scarto di voti popolari sulla Camera sarebbe di circa 25mila, e sembrerebbe che la CdL sia determinata a chiedere la verifica dei voti annullati, una sorta di conta supplementare modello Florida.
Se così andasse si tratterebbe di un deja vu, a livello nazionale, di quanto accaduto in Puglia per le elezioni regionali 2005.
L'anno scorso il voto disgiunto previsto dalla legge elettorale regionale pugliese fece sì che il candidato di centrosinistra Nicki Vendola sopravanzasse quello di centrodestra e presidente uscente Raffaele Fitto di appena 14mila voti, cioé in percentuale sicuramente più dei 25mila delle attuali politiche.
Ne nacque un contenzioso elettorale risolto nel dicembre 2005 con una sentenza del Consiglio di Stato che, confermando una sentenza del TAR Puglia, decretò l'inammissibilità del ricorso presentato da vari candidati della CdL, cui si era poi associato lo stesso Fitto.
Certo, in quel caso si trattava di voto amministrativo e non politico, tutto si giocava sui tavoli dei giudici amministrativi, occorreva dimostrare che vi erano sufficienti elementi per autorizzare un riconteggio dei voti (in termine tecnico, una verificazione), e il ricorso contro il risultato regionale non ci riuscì, almeno ad avviso delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato.
Qui la verifica sarebbe compiuta dalla Giunta per le elezioni della stessa Camera dei deputati, e non potrebbe non risentire della politicità del "giudice" chiamato a valutare le condizioni anzitutto di ammissibilità dei ricorsi e poi, eventualmente, la validità delle schede annullate e contestate.
D'altro canto, se è vero che le schede in contestazione si aggirerebbero attorno al mezzo milione, è abbastanza agevole pensare che in quel vasto paniere ci sarebbero voti attribuibili all'una o all'altra parte, che probabilmente non sposterebbero di molto il dato finale.
In ogni caso, essendo il Parlamento (Camera e Senato) chiamato in tempi stretti alla votazione per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, e prima ancora dei Presidenti dei due rami dello stesso parlamento, e in tempi abbastanza ravvicinati all'approvazione del documento di programmazione economica e finanziaria in vista della legge finanziaria e delle manovre anche correttive di finanza pubblica, un ingorgo come quello determinato dal riconteggio dei voti non potrebbe non determinare ricadute negative sull'intero assetto istituzionale, e l'incertezza sul risultato elettorale avrebbe grande impatto sui mercati finanziari, potendo preludere a scenari di declassamento del paese nei "rating" delle principali agenzie internazionali.
La Bonino ricordava ieri, in una conferenza stampa di tardissima serata, che Richard Nixon, che pure perse per uno scarto molto ridotto di voti le presidenziali americane del 1960 contro John Fitzgerald Kennedy, si riconobbe lealmente battuto senza invocare riconteggi e così legittimò la vittoria dell'avversario.
Le cose andarono diversamente nelle elezioni presidenziali americane del 2000, quando per parecchi giorni si assisté a un balletto di decisioni tra Corte Suprema della Florida e Corte Suprema Federale, riconteggi avviati e fermati, alla fine dei quali Bush jr. risultò vincente con non poche ombre e dubbi sull'effettività di quella vittoria.
Il senso di responsabilità istituzionale dovrebbe suggerire, a questo punto, di evitare ulteriori lacerazioni e contestazioni, tenuto conto che il senso politico complessivo del risultato elettorale è comunque chiaro: l'Unione vince di pochissimo in termini di voti popolari, la CdL non esce affatto distrutta dal confronto, il paese è diviso all'incirca a metà, i problemi sono gravi e incombono, il bipolarismo multipartitico all'italiana si è avvitato su se stesso, occorre uno sforzo di ricomposizione delle spaccature che probabilmente non può non passare attraverso una scomposizione e ricomposizione del quadro politico.
Se questo paese avesse una classe politica dirigente responsabile, si dovrebbe fare una grosse koalition con i quattro partiti maggiori, fissare un'agenda di azioni di governo improcrastinabili, preparare magari un'assemblea costituente (credo che il referendum costituzionale confermativo manderà negli archivi, a questo punto, la riforma votata a maggioranza dalla CdL).
Non accadrà probabilmente niente di tutto questo. L'Unione governerà, come potrà, farà campagna acquisti al Senato (come fece lo stesso Berlusconi nel 1994 e come avvenne per il governo D'Alema nel 1998), il governo durerà c'è da giurarlo molto meno dei cinque anni promessi da Prodi, si correggerà la legge elettorale e si tornerà a votare nell'arco di un anno e mezzo due anni.
Nel frattempo il paese continuerà a declinare, non si faranno riforme condivise ed essenziali, occorrerà raschiare il fondo del barile per trovare le risorse finanziarie.
A meno che... a meno che, altro scenario possibile, il risultato non accelleri la formazione di due partiti (democratico e casa dei moderati) e di un terzo polo centrista, che finisca per stabilizzare il quadro politico.
Un ritorno al passato? Forse sì, ma è proprio sicuro che gli italiani col voto di ieri non vogliano proprio questo risultato?
In ogni caso, mi auguro che la tentazione pugliese resti soltanto tale.
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