giovedì, settembre 06, 2007

L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELL'ESSERE (REGINA)


Non capisco proprio Elisabetta II d'Inghilterra. Pare che la Sovrana si sia sempre rifiutata, sdegnosa, alla visione del film "The Queen" di Stephen Frears. Eppure nel lucido affresco della monarchia britannica, l'unica figura che si staglia con dignità nella settimana successiva alla morte di Diana, dallo schianto nel tunnel dell'Alma ai funerali della "Principessa del Popolo" è proprio quella di Elisabetta.

Ho visto "The Queen" su Sky, con il solito ritardo che mi porto appresso in materia di cinema e films di successo, mediamente uno-due anni.

Il film è una straordinaria rilettura di quanto accadde dieci anni fa e la sua grandezza sta nel non fare sconti a nessuno, proprio a nessuno.

Non a Tony Blair, all'epoca neopremier, che cavalca (veltronianamente? direi abbastanza) l'ondata di commozione popolare per la tragica morte di Diana e riesce a farsi garante agli occhi dell'opinione pubblica inglese di una monarchia troppo algida e lontana dai sentimenti delle masse.

Non a Filippo d'Edimburgo, persona greve, modesta, inadeguata intellettualmente persino al ruolo di principe consorte, in effetti solo "inseminatore" della stirpe reale.

Non a Carlo, sorpreso e travolto dall'ondata di sospetti e ostilità nei suoi confronti, come sempre e per sempre debole "figlio di mamma" ed eterno principe ereditario.

Non alla stessa opinione pubblica, inglese e mondiale, manipolata dalla stampa e dalle televisioni, leste nel cogliere il bisogno di una "favola moderna", la principessa triste, tradita, isolata, sfortunata, forse sacrificata sull'altare della ragione di Stato e di Dinastia dinanzi alla minaccia di un fidanzamento, un matrimonio, una maternità con un arricchito parvenu di vaga religione islamica.

Ma a Elisabetta II, in fondo si, Frears concede molte attenuanti e qualche ragione.

Ragazzina intronata regina dopo la prematura scomparsa del padre, attenta ai doveri (oltre che ai diritti) della Monarchia inglese, incarnazione dell'unità di una nazione che già dovette digerire il declino e poi il crollo del suo impero coloniale, dopo una guerra sanguinosa e piena di lutti e rovine, tenace custode delle virtù britanniche per eccellenza (dignità, orgoglio, compostezza, adeguatezza al ruolo, senso della responsabilità collettiva).

In questo magistrale affresco si staglia la dignità della Sovrana, la tormentata presa di coscienza che i "fedeli sudditi" esigono l'omaggio alla principessa del popolo, ossia dei tabloid e delle TV, ossia dell'opinione pubblica da essi formata, ossia della commozione collettiva, non difficile da suscitare se si è belle come Diana, eleganti come Diana, sexy come Diana, dolci come Diana, giovani come Diana, e inspiegabilmente tradite, come Diana, a vantaggio di una cavallona quale Camilla.

E poi, come competere con Diana che s'intrattiene con Madre Teresa di Calcutta, che percorre i campi minati, che tiene in braccio bambini di colore, che anima mille attività benefiche, che insomma è tanto bella quanto buona?

Helen Mirren, attrice straordinaria (e donna stupenda, lasciatemelo dire...) presta ogni piega del suo volto, ogni increspatura delle sue labbra, ogni guizzo dei suoi occhi, ogni muscolo del suo corpo alla (ri)costruzione del tormento psicologico di Elisabetta II, della dolorosa presa di coscienza dell'esigenza di sacrificare etichetta, tradizioni, orgoglio e forse anche un po di verità (Diana non era una puttana, ma nemmeno una santa), sull'altare vorace apparecchiato dalle tonnelate di fiori dinanzi al Palazzo Reale, addirittura chinando la testa al passaggio del feretro di Diana.

La sequenza nella quale Helen-Elisabetta legge con angoscia i bigliettini che accompagnano fiori e pupazzetti e coglie il gelo del popolo inglese verso la Monarchia, sentendo l'ingiustizia di un confronto che oppone l'amatissima Diana e l'odiata corte inglese, vale da sola l'intero film e l'Oscar meritatamente assegnato quale migliore attrice.

Per questo non capisco come Elisabetta II non abbia compreso come "The Queen" è un omaggio straordinario alla sua persona e alla sua dimensione storica, l'epifania di una Monarchia che trova in lei, e solo in lei, l'ultima Sovrana possibile e credibile, unica vera degna erede di Vittoria e della grande Elisabetta, la prima.

E' difficile concentrare nello spazio di un film un'analisi più lucida, chiara, intensa, verace di temi così grandi e complessi, uno sguardo così leggero eppure penetrante e impietoso sulla manipolazione dell'opinione pubblica e sui meccanismi mediatici della costruzione del consenso; e tutto questo senza perdere l'incanto dei momenti intimi della Regina nello scenario incantato della tenuta di Balmoral, tra fiumi, colline, boschi, compresa la scena nella quale Elisabetta-Helen sopraffatta dalle emozioni si ferma a guardare incantata un maestoso cervo che finirà ammazzato e decollato per il divertimento di un qualsiasi banchiere ospite di una vicina tenuta di caccia.

Animale nobile, bello e solitario quel cervo, nel quale forse Helen-Elisabetta scorge un riflesso della propria dolorosa ma incontestabile regalità.