mercoledì, gennaio 17, 2007

Il senso delle cose

Manco dal blog da circa tre mesi. Ho avuto molto da fare, è vero. Ma non è questo il punto. E'che, ad un certo punto, sono stato colto da quell'afasia che credo sia comune alla maggior parte dei blogger estemporanei, nulla a che vedere con i veri blogger alla Chris.
In questi tre mesi quasi non si è fermato l'orrore della vita quotidiana, ultimo episodio, solo per ora, il massacro di Erba.
Ho letto uno splendido articolo di Galimberti su Repubblica che, traendo spunto da quellì'efferato delitto di sangue, indagava sulla perdita non della ragione ma del senso del sentimento, di quell'innata capacità di discernere il bene (almeno relativo) dal male (almeno assoluto) che viene prima della ragione stessa.
Ho ripreso la citazione in un breve discorso di saluto all'inaugurazione dell'anno giudiziario del T.A.R. Lecce (intervenivo in rappresentanza del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, il CSM dei giudici amministrativi, per intenderci).
Naturalmente in quella sede ho alluso al sentimento delle Istituzioni, cioé a quel senso delle Istituzioni che pure dovrebbe essere innato, o che almeno dovrebbe ritrovarsi in quanti sono pubblici funzionari, dagli impiegati amministrativi delle USL ai dirigenti statali ai magistrati, dall'ultimo e più modesto gradino sino ai vertici delle Istituzioni.
E invece proprio il senso delle Istituzioni è diventato un optional, almeno per molti, meglio una sorta di patetica concessione sentimentalistica a valori astratti, di tutti, cioé di nessuno secondo la strana logica di questa Nazione.
Io non posso dimenticare, l'ho detto e lo ripeto, che mio Padre parlava con grande rispetto quasi venerazione dello Stato, lui che era funzionario statale e ne era grandemente orgoglioso.
Io non posso dimenticare i maestri di scuola elementare che, anche allora con stipendi ridicoli (si chiamavano "parametri" e così si distinguevano: si legga il grande romanzo di Mastronardi "Il maestro di Vigevano") avevano ben presente il compito educativo delicatissimo che svolgevano, in un'Italia ancora non del tutto alfabetizzata in cui vi erano adulti che sudavano nei corsi serali per prendere la "licenza elementare", che era una cosa seria, un elemento essenziale di legittimazione sociale e culturale.
Io non posso dimenticare l'aura reverenziale che circondava le aule di giustizia, ai tempi lontani in cui ero un praticante procuratore legale, il senso di autorevolezza che emanavano i magistrati in toga coi capelli spruzzati di grigio.
Io non posso dimenticare l'orgoglio con il quale assieme a tre compagni "d'avventura" tornai in treno, da Roma, dopo l'orale del concorso in magistratura, e poi la tremebonda prima udienza da uditore giudiziario con funzioni, in cui mi toccò un giudizio per direttissima per furto aggravato in concorso, e al ritorno a casa alle sette e mezza di sera ero tanto fuso che mi venne il dubbio di aver sbagliato a calcolare le pene irrogate e chiamai il mio magistrato affidatario che lenì la mia irrazionale e infondata disperazione così profonda che mi sarei dimesso il giorno dopo (per fortuna non avevo sbagliato, ma chissà quanti errori ho fatto anche io dopo di allora, spero pochi e senza gravi conseguenze).
Ecco, a parte tutto, se c'è una stella polare che dovrebbe orientare il cammino su questa terra quella dovrebbe essere la retta coscienza di dare alle cose il valore che meritano, e a quella cosa così evanescente eppure così irrinunciabile che è il c.d. bene pubblico.
Illusioni da romantico ultimo o penultimo?
Come ho detto un'altra volta, lasciatemi sognare in pace.