sabato, maggio 06, 2006

ANNIVERSARI


Curiosa la sequenza di funesti anniversari che si è sgranata in questi tre anni: il 2 dicembre 2004 sono trascorsi venti anni dal disastro chimico di Bhopal, il 6 e 8 agosto 2005 sessant'anni dai funghi atomici all'uranio e al plutonio di Hiroshima e Nagasaky, il 26 aprile 2006 venti anni dall'incidente di Chernobyl, tra due mesi saranno trent'anni dall'incidente di Seveso.
Per fortuna l'ultimo anniversario ricorda un evento meno drammatico nelle conseguenze: la dispersione in atmosfera della diossina dalla fabbrica ICMESA di Seveso produsse molti casi di cloracne e vari disturbi, forse non ancora compiutamente valutabili nella loro entità, ma nulla di paragonabile agli altri eventi dei grani di questo drammatico "rosario", anche se ebbe giusta e grande risonanza.
Chernobyl, a quanto se ne sa (e non se ne sa ancora abbastanza) ha fatto forse molte, molte decine di migliaia (qualcuno dice duecentomila) morti e continua a mietere migliaia di vite a distanza di tanto tempo: il sarcofago di cemento che racchiude il reattore n. 4 (dove si verificò la "fusione del nocciolo" e l'esplosione che immise in atmosfera una quantità di radiazioni di gran lunga superiore a quelle rilasciate dalle bombe di Hiroshima e Nagasaky) è pieno di crepe, potrebbe crollare, attende la realizzazione di una colossale struttura ulteriore di protezione.
Sulla rete in effetti non si trova tantissimo, in termini di informazioni accessibili e non strettamente tecniche, sull'incidente e la sua dinamica, frutto di una somma di inadeguatezze tecniche e incredibili errori umani, alimentati dalla mentalità burocratica e ottusa di un ingegnere nucleare.
Bhopal ha trovato invece due narratori straordinari, Dominique Lapierre e Javier Moro, che con "Mezzanotte e cinque a Bhopal" hanno raccontato con rigorosa documentazione ma in forma quasi romanzesca (da vero reportage) come e perché un colosso americano della chimica la Union Carbide Corporation" decise di impiantare una fabbrica per la produzione del pesticida "Sevin" nel cuore millenario, misterioso, magico dell'India e poi, dinanzi alla crisi produttiva determinata dalle ricorrenti siccità che affliggevano il paese dei maraja, la lasciarono andare progressivamente alla malora sino a determinare quella catena di carenze di manutenzione, assurdo stoccaggio di grandi quantità di MIC (isocianato di metile), operazioni di lavaggio condotte con approssimazione, depauperamento delle condizioni di sicurezza, che portarono nella fresca serata del 2 dicembre 1984 all'esplosione della vasca n. 610, in cui erano contenute duecento tonnellate di isocianato di metile e alla liberazione di una nube di vapori tossici che, scomponendosi in gas miciliali (tra cui l'acido cianidrico) avvolse dapprima le bidonville che sorgevano attorno alla fabbrica, quindi la stazione ferroviaria e alcuni quartieri della città.
Non si ha nemmeno un'idea precisa dei morti (l'intervallo attendibile tra sedicimila e trentamila la dice lunga) e dei contaminati (almeno duecentomila), che più sfortunati dei primi hanno avuto la vita segnata da cecità, gravissimi disturbi respiratori, neurologici, psichiatrici, cancri di vario genere, colpiti spesso sin dal ventre delle loro madri incinte all'epoca del disastro.
La storia del disastro di Bhopal è la storia delle conquiste e delle illusioni della chimica, dell'idea di poter debellare le carestie prodotte dal furioso assalto di parassiti devastanti, di offrire un sollievo alla fame del mondo: come in tutte le storie umane si intrecciano grandi ideali e aspirazioni e meschini calcoli di profitti più o meno rapidi, preveggenze inascoltate e negligenze ottuse e intollerabili, vigliaccherie ed eroismo.
Ho letto il libro in meno di tre giorni, lo desideravo da anni dopo aver visto un servizio in televisione all'epoca della sua uscita editoriale, l'ho comprato entrando per un caso nel Feltrinelli Megastore della Galleria Alberto Sordi di Roma.
A volte mi chiedo se, dietro la mia curiosità per i grandi disastri (posso considerarmi un conoscitore della tragedia della diga del Vajont, per aver letto credo quasi tutti i libri pubblicati in argomento, oltre che aver visto e rivisto il film di Renzo Martinelli e la drammatizzazione di Paolini), si celi quella tipica pruderie che suscita l'idea e l'immagine delle catastrofi, delle morti collettive, dell'intreccio misterioso di destini che si compiono all'unisono per il solo fatto spesso casuale e banale di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Eppure, al di la di questa pruderie, che non voglio negare (sapendo di non essere migliore o più nobile di nessun comune mortale), ciò che mi spinge è un bisogno di comprensione profonda, di "immedesimazione", di condivisione del senso tragico ed esistenziale di questi drammi collettivi, forse anche un sottile senso di colpa, nella consapevolezza di essere il solito fortunato che può leggerne senza pagare in prima persona le conseguenze.
Bella la vita di chi è nato da buona, anche se non ricca, famiglia, che ha un lavoro sicuro, una salute almeno sinora buona, in un angolo tranquillo d'occidente, di una città non più brutta di tante altre.
Quale dannato karma ha portato, invece, migliaia, milioni di esseri umani a nascere o a vivere sulla "spianata nera" attorno alla fabbrica di Bhopal?
E perchè il dolore colpisce sempre, o quasi, chi già dal dolore tanto è stato colpito?
Come spiegare tutto questo sapendo che Dio è buono?