Venerdì pomeriggio mi è capitata una cosa curiosa, che mi da lo spunto per una riflessione sul destino.
Era un assolato pomeriggio romano, appena velato da nuvole alte.
Avevo finito la riunione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, l'organo collegiale di autogoverno dei magistrati amministrativi di cui sono uno dei componenti.
Lasciate le magniloquenti sale di Palazzo Spada (cinquecentesca sede del Consiglio di Stato, ricca di stucchi, dipinti, affreschi), con un collega, segretario del Consiglio, stavo tornando verso gli uffici situati a via delle Vergini, una piccola e corta strada che collega via dell'Umiltà alla via che porta a piazza di Trevi (con l'omonima fontata).
Camminavamo per le strade strette e affollate del centro di Roma, così belle e suggestive coi loro palazzi di tufo e travertino, incassati gli uni vicino agli altri, zeppi di trattoriole, osterie, baretti, negozietti.
D'improvviso un proiettile di pietra mi è piombato tra i piedi, frantumandosi in mille pezzi: era un pezzo di cornicione che stava lì, attaccato con lo sputo chissà da quanto tempo, e che, evidentemente aveva deciso di cadere proprio in quel momento, in quel giorno, in quell'ora, quasi m'avesse dato un segreto appuntamento.
Il collega mi ha detto che aveva visto quel proiettile sfiorarmi la testa ed era annichilito.
Se avesse avuto miglior mira, quel proiettile, forse non sarei qui nemmeno a poterlo raccontare.
Ma tant'è: è andata così.
Non sono un temerario né un coraggioso, ma il fatto non mi ha, devo dire, spaventato più di tanto.
Ho rincuorato il collega, forse scosso più di me, con una battuta: "Si vede che non era arrivata la mia ora".
Io credo al destino, almeno per quanto attiene alla possibilità che qualcosa ti caschi sulla testa, ti ammali di una malattia rara e sconosciuta, venga coinvolto in un incidente stradale, ti venga trovare sull'aereo sbagliato, quello che alimenta la statistica secondo cui, nonostante tutto, è il mezzo di trasporto più sicuro, faccia il viaggio inaugurale del Titanic e finisca come è finito.
E' come in guerra: da qualsiasi parte si combatta, una pallottola vagante, magari di "fuoco amico" ti può sempre cogliere in un punto vitale.
Fu il destino, ad esempio, che decise tra Kokura e Nagasaki, la città destinata all'olocausto nucleare, dopo Hiroshima: il cielo su Kokura era pieno di nuvole, mentre su Nagasaki si aprì uno squarcio, quel tanto che bastava al puntatore per inquadrarla nel mirino e sganciare "fat man", la seconda bomba, al plutonio (quella di Hiroshima, chiamata "little boy", era all'uranio); tra parentesi, che mattacchioni questi americani, che si erano divertiti a affibbiare un nomignolo a quelle prime bombe atomiche, poi visti gli effetti si vergognarono e non ci scherzarono mai più.
E'il destino che, a proposito di malattie genetiche rarissime, decide da quale parte della statistica stiamo: ho visto su un canale satellitare un programma su due malattie che causano anomalo accrescimento di parti del corpo, ad esempio una bambina con un enorme dito medio a una mano e l'altra gonfia e irriconoscibile, un giovane uomo con un piede gigante (era la stessa malattia che colpì un inglese dell'Inghilterra vittoriana, conosciuto come "Elephant Man": un medico lo tolse dalla strada e dai circhi, dove il poveretto veniva esposto come fenomeno da baraccone, e sulla vicenda David Linch vi girò un film molto bello sul finire degli anni '70, da vedere se si riesce).
Sempre il destino decide la lotteria di certe malattie rare, come la sclerosi laterale amiotrofica, di cui è morto il radicale Luca Coscioni, che ha fondato l'omonima associazione per la ricerca scientifica, più nota come sindrome di Lou Ghering, uno sportivo americano (forse un giocatore di baseball). Un mio caro amico e collega, andato in pensione per inabilità, ne è affetto ed è un miracolo di lucidità, generosità, attaccamento alla vita, oltre che ironia: quando stava ancora abbastanza bene mi disse un giorno "Pensa che di questa malattia si ammala uno ogni trecentomila: e cos'é la lotteria gratta e perdi?".
In fondo c'entra col destino anche l'incrocio tra le vite delle persone, e in qualche misura dunque anche l'amore, incontrare o meno una persona, incontrarla in un momento anziché in un altro, non incontrarla affatto, incontrarla nel momento sbagliato; certo poi le azioni umane fanno il resto.
Negli anziani, l'idea del destino, essendosi esso in buona parte già compiuto nella loro vita, è amica e non ostile, non ci si ribella, la si asseconda, saggiamente, sapendo come diceva una vecchia canzone che "al destino che vien rassegnarsi convien".
Nei giovani, il destino è una sfida, e infatti non si capisce altrimenti perché si sfidino in competizioni assurde, e non di rado ci lascino la pelle; è perché si sentono più forti del destino o almeno pensano di poterlo affrontare ad armi pari, e di beffarlo.
Ma poi tutto questo sproloquio per dire cosa?
Semplicemente che dovrete sopportarmi ancora, vista la scarsa mira di quel pezzo di cornicione. Una occasione mancata.
lunedì, aprile 24, 2006
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