giovedì, aprile 30, 2009

IL VELO DELLA VERONICA




La Veronica, anziché accorrere soccorrevole a confortare Silvio e a nettargli il volto lordato dalla polvere dei ruderi aquilani, s'è lanciata in una breve e fiera invettiva contro la possibile eurocandidatura di "veline", definite "ciarpame" atto sostanzialmente a sollazzare l'Imperatore.


La scelta del sostantivo, che letteralmente vuol dire "insieme di cose vecchie e senza valore, ammucchiate alla rinfusa", e che è accrescitivo spregiativo di "ciarpa", s'adatta forse allo scarso valore delle "veline", che però propriamente vecchie non possono dirsi, essendo figliole max trentenni di buona fattura italica.


Epperò, questa silenziosa e schiva "first lady", che non frequenta i vertici dei capi di Stato e di governo dal lontano 2004, non si capisce davvero perché rompa il proverbiale e sbandierato riserbo proprio in questo momento e senza apparente provocazione; almeno, ai tempi della lettera su Repubblica, l'impunito Silvio s'era lasciato andare ad una dichiarazione d'amorosi sensi ipotetici verso la Carfagna (ti sposerei), che in quanto pubblica poteva giustificare una risposta pubblica.


Ma dappoiché Veronica accettò le pubbliche scuse dell'Augusto consorte, e nell'estate scorsa si lasciò con lui fotografare mano nella mano nella tenuta sarda, circondata dai suoi tre figli e dai figli di primo letto del Cav., suscita meraviglia ora questa improvvisa pubblica reprimenda, che segue non a dichiarazioni ma a pissi pissi bao bao sulle eurocandidature; e forse all'andata di Berlusconi alla festa privata di una diciottenne di Casoria che, pare, lo chiami "papi".


Che c'entri all0ra, come direbbe Casini, la guerra sotterranea per la suddivisione dell'immenso patrimonio di Silvio?


E sì, perché quell'insistito richiamo alla tutela dei propri figli pare alludere, più che alla salvaguardia della loro dignità offesa da questa diciottenne figlioccia adottiva, alla questione della divisione delle quote azionarie della Fininvest e delle varie aziende di famiglia tra i tre rampolli di secondo letto e i due di primo, essendo già Piersilvio e Marina saldamente insediati sul ponte di comando della portaerei; non meno che di tutte le infinite proprietà immobiliari e degli inimmaginabili conti e conticini, fondi e fondoni, titoli e titoloni.


Insomma, per ribadire che la divisione dei titoli (azionari, di proprietà, mobiliari) deve esser fatta senza far torto ai figli più piccoli, cosa c'è di meglio dei titoloni dei giornali, sopratutto quando, tra iniziative post-terremoto, G8 aquilano, 25 aprile onniano, la stella del Cav. brilla più fulgente che mai nei cieli italici?


Un po' di cautela, dunque, nel celebrare nella Veronica furiosa una memorabile riedizione della Filomena eduardiana; che quella, almeno, s'era guadagnata i propri diritti dopo vita di pubblica peccatrice e di privata concubina, sfacchinando e reggendo la casa; e questa sua improbabile riedizione, invece, fu tratta da teatri e teatrini di posa, e da pose fotografiche più o meno languide, e insignorata in sostituzione della prima moglie.


Cui, se permettete, andrebbe qualche simpatia in più, non foss'altro perché non ha accesso ai grandi quotidiani né ha ispirato smemorabilissimi libri latelliani.

domenica, aprile 26, 2009

Caos calmo: una rieducazione sentimentale ed esistenziale


Non è un capolavoro "Caos calmo. Almeno io non l'ho percepito come tale, vedendolo ieri in tardissima serata su Sky.

E' invece un capolavoro il modo in cui Nanni Moretti incarna il personaggio di Pietro Palladino, il protagonista, con quello straniamento e quella afasia sentimentale che è tipica di tanti suoi personaggi (i più riusciti) che però in questo film si apre piano piano alla visione degli altri, dei loro bisogni, delle loro incertezze, con uno sguardo finalmente comprensivo e compassionevole ai loro limiti, con il riconoscimento umile dei propri limiti.

Se un evento imprevisto, ma non imprevedibile, come la morte suicida di una moglie depressa e probabilmente trascurata, squarcia il catalogo della quotidianità, dolore e senso di colpa -dice il film- può farsi muta indifferenza apparente, anestetica separazione dagli altri, dal lavoro, dalle abitudini quotidiane.

L'attesa paziente dell'uscita da scuola di una figlia può rappresentare un tempo sospeso, il rifiuto del ritorno alla normalità che improvvisamente rivela la sua anormalità, e quindi l'alienazione nel lavoro, la fuga dalla responsabilità del padre che delega tutto alla madre, l'indifferenza per la moglie di cui non si coglie alcun segno premonitore di una depressione grave.

In questo tempo sospeso, però, la vita intorno fluisce e Pietro la scopre piano piano, nel sorriso di un bambino down che fa ridere azionando l'antifurto della macchina, di una ragazza che porta a spasso il suo cagnone, delle mamme che al bar si raccontano delle piccole malefatte dei bambini, dei colleghi di lavoro che con lui confrontano i propri fallimenti esistenziali e le incertezze di una operazione societaria di fusione con una società americana, di un fratello che mantiene intatta e lucida, nel suo ottimismo, una visione lineare e positiva della vita.

In questo tempo s'inserisce anche il rapporto sessuale con la quarantenne borghese inquieta e insoddisfatta, che Pietro ha salvato dall'annegamento, e che è l'amante del tycoon della società americana incorporante, come una inevitabile esplosione di una energia e di una passione repressa da troppi anni di quotidianità e normalità anormale, come il ricongiungimento carnale e perciò concreto alla vita vera, che fluisce piena nella forza femminile, di cui spesso le donne stesse sono inconsapevoli.

E' una rieducazione sentimentale ed esistenziale dal quale emerge un uomo nuovo, un padre tenero e affettuoso, un fratello comprensivo, una persona più intensa, che solo la bambina scioglie, con la sua semplicità, dal voto della presenza quotidiana davanti alla scuola, riavviandolo ad una nuova più vera normalità di vita.

Nanni Moretti sa incarnare tutto questo con naturalezza, senza sbavature e forzature, accompagnato da un cast di livello, con il bravissimo Alessandro Gassman, la efficace Valeria Golino, l'algida ma fremente Isabella Ferrari.

sabato, aprile 25, 2009

Se alle parole seguiranno i fatti

Il discorso di berlusconi a onna, che ho riportato nel precedente post, fornisce spunti di riflessione se non si vuole semplicemente ignorarlo o sommergerlo di fischi e lazzi in base all'idea che tutto quello che viene dal Cav. è aria fritta, chiacchiere, puro marketing di corto respiro, come nelle televendite di una batteria di pendole o di un servizio di piatti.
Intanto c'è un fatto nuovo, incontestabile: dopo anni di ostentata indifferenza e sostanziale ostilità verso la celebrazione del 25 aprile, berlusconi riconosce che da quella data non si può prescindere.
Certo, non manca qualche insopprimibile spunto polemico, ma appena velato, soffuso, come ad esempio nel passaggio in cui, accostando la Resistenza e il Risorgimento, e riconoscendone l'importanza come miti fondativi dell'identità nazionale, sostiene, contraddittoriamente, che una Repubblica e una democrazia moderna non deve aver bisogno di miti fondativi.
In realtà il concetto che berlusconi vuole esprimere è che occorre conservare il mito fondativo depurandolo da una retorica resistenziale che non ne accresce ma può offuscarne il valore unitario, e in questo si coglie l'eco delle polemiche suscitate dai libri di giampaolo pansa sulla scia di sangue che seguì le radiose giornate dell'aprile 1945, delle tante vendette, a volte solo private, che colpirono i vinti.
Un altro aspetto del discorso è l'idea di una ricomposizione della visione della Resistenza come guerra assieme di popolo e di militari, e questo lo ricollega alle rivendicazioni che per primo, e senza suscitare alcuno scandalo, ha fatto carlo azeglio ciampi sul valore e l'eroismo dei soldati, sottufficiali e ufficiali italiani che rifiutarono di consegnare le armi all'esercito tedesco, pagando o con l'eccidio (come a cefalonia) o con la deportazione nei campi di prigionia, o ancora aggregandosi e collaborando agli eserciti alleati e con le formazioni partigiane.
E' però inedito e importante il riconoscimento del contributo di tutti i partiti politici della Resistenza e poi della Repubblica allo sforzo della liberazione e della costruzione di un sistema democratico, a partire dalla Costituzione repubblicana, compreso il P.C.I. e compreso Palmiro Togliatti: mai da berlusconi erano state pronunciate parole di chiara legittimazione del contributo dei comunisti "storici" alla riconquista della libertà nazionale e alla costruzione della Repubblica.
Certo, l'uomo non riesce proprio a resistere dall'inserire nel ricordo collettivo la sua aneddotica familiare, ciò che pure può essere umanamente comprensibile ma che inserisce una nota stonata nel discorso: ma è un breve passaggio e non ne menerei scandalo assoluto.
La prospettiva "politica" nuova è però nell'indicazione dell'Anniversario della Liberazione come "Festa della Libertà", come momento cioé in cui si salda la sconfitta dell'invasore tedesco e del suo alleato fascista alla ricostruzione di una nuova democrazia, che seppe tenersi salda e seppe evitare di ricadere (anche e sopratutto, per le scelte di Yalta, e per la sofferta fedeltà togliattiana alle ragioni della svolta di Salerno) in una guerra civile e nella tentazione di una svolta rivoluzionaria che, se compiuta, l'avrebbe precipitata nel regime totalitario staliniano.
Può darsi che il Caimano non cambi mai pelle, può darsi che inizi a porsi il problema di un rapporto con la storia, è probabile sopratutto che si renda conto che le sue ambizioni presidenziali non possono realizzarsi in un contesto nel quale una larga minoranza gli nega ogni legittimazione democratica.
Quali che siano le ragioni di questa svolta berlusconiana, se le parole che ha pronunciato ieri saranno seguite dai fatti, da una vera apertura all'ascolto delle opposizioni politiche e sociali, da una dimostrata capacità di andar oltre i suoi antichi vizi (non sono affatto ottimista, al riguardo, lo dico subito), potrebbe darsi che a settantaquattro anni berlusconi avvii un rinnovamento del berlusconismo e dia una prospettiva a una formazione politica nata e vissuta come partito-azienda ma ora inevitabilmente diversa con la confluenza di an, di partito conservatore moderno, sullo stampo dell'Old grand party americano, e che per converso si avvii il confronto con un pd che incarni davvero, con tutte le differenze, il modello di un partito progressista che anche oltre il nome assomigli al partito democratico statunitense.
Lo scopriremo solo vivendo.

La liberazione nell'ottica di Berlusconi

Leggete, prima di sommergerlo di contumelie, il testo del discorso di Berlusconi a Onna; e ragioniamo su quello che può significare


Il discorso integrale di Berlusconi a Onna

Cari amici,non è semplice trovare le parole per descrivere il mio, il nostro stato d'animo in questo momento. Ci troviamo qui ad Onna per celebrare la Festa della Liberazione, una festa che è insieme, un onore ed un impegno. Un onore: di commemorare una terribile strage perpetrata proprio qui nel giugno del 1944 quando, i nazisti massacrarono per rappresaglia 17 cittadini di Onna, e poi fecero saltare con l'esplosivo la casa nella quale si trovavano i corpi di quelle vittime innocenti. Un impegno: che ci deve animare è quello di non dimenticare ciò che è accaduto qui e di ricordare gli orrori dei totalitarismi e della soppressione della "libertà". Proprio qui, proprio in Abruzzo, è nata ed ha operato la leggendaria Brigata Maiella, che è stata decorata con la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Nel dicembre del ’43, 15 giovani fondarono quella che sarebbe diventata appunto la Brigata Maiella che arrivò ad essere forte di 1.500 uomini. E non casuale che in questa giornata speciale, i militari del Picchetto d'Onore schierati davanti a noi appartengano al 33.mo Reggimento di artiglieria, il reparto degli abruzzesi che nel 1943 a Cefalonia ebbe il coraggio di opporsi ai nazisti e di sacrificarsi - combattendo - per l'onore del nostro Paese. A quei patrioti che si sono battuti per il riscatto e la rinascita dell'Italia va, deve andare sempre la nostra ammirazione, la nostra gratitudine, la nostra riconoscenza. La gran parte degli italiani di oggi, non ha provato cosa significa la privazione della libertà. Solo i più anziani hanno un ricordo diretto del totalitarismo, dell’occupazione straniera, della guerra per la liberazione della nostra Patria.
Per molti di noi è un ricordo legato alle nostre famiglie, ai nostri genitori, ai nostri nonni, molti dei quali furono protagonisti o anche vittime di quei giorni drammatici. Per me è il ricordo di anni di lontananza da mio padre, costretto ad espatriare per non essere arrestato, è il ricordo dei sacrifici di mia madre, che da sola dovette mantenere una famiglia numerosa in quegli anni difficili. E’ il ricordo del suo coraggio, di lei che come tanti altri da un paesino della provincia di Como doveva recarsi ogni giorno in treno a Milano per lavorare, e che un giorno, su uno di quei treni, rischiò la vita, ma riuscì a sottrarre a un soldato nazista una donna ebrea destinata ai campi di sterminio. Questi sono i ricordi, sono gli esempi con i quali siamo cresciuti. Quelli di una generazione di italiani che non esitò a scegliere la libertà. Anche a rischio della propria sicurezza, anche a rischio della propria vita. Il nostro Paese ha un debito inestinguibile verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita, negli anni più belli, per riscattare l’onore della patria, per fedeltà a un giuramento, ma soprattutto per quel grande, splendido, indispensabile valore che è la libertà. Lo stesso debito di gratitudine lo abbiamo verso tutti quegli altri ragazzi, americani, inglesi, francesi, polacchi, dei tanti paesi alleati, che versarono il loro sangue nella campagna d’Italia. Senza di loro, il sacrificio dei nostri partigiani avrebbe rischiato di essere vano. E con rispetto dobbiamo ricordare oggi tutti i caduti, anche quelli che hanno combattuto dalla parte sbagliata sacrificando in buona fede la propria vita ai propri ideali e ad una causa già perduta. Questo non significa naturalmente neutralità o indifferenza. Noi siamo - tutti gli italiani liberi lo sono - dalla parte di chi ha combattuto per la nostra libertà, per la nostra dignità e per l’onore della nostra Patria.
In questi anni la storia della Resistenza è stata approfondita e discussa. E’ un bene che sia successo. La Resistenza è - con il Risorgimento - uno dei valori fondanti della nostra nazione, un ritorno alla tradizione di libertà. E la libertà è un diritto che viene prima delle leggi e dello Stato, perché è un diritto naturale che ci appartiene in quanto esseri umani. Una nazione libera tuttavia non ha bisogno di miti. Come per il Risorgimento, occorre ricordare anche le pagine oscure della guerra civile, anche quelle nelle quali chi combatteva dalla parte giusta ha commesso degli errori, si è assunto delle colpe. È un esercizio di verità, è un esercizio di onestà, un esercizio che rende ancora più gloriosa la storia di coloro che invece hanno combattuto dalla parte giusta con abnegazione e con coraggio. È la storia dei tanti che hanno combattuto nell’esercito del Sud, che da Cefalonia in poi hanno riscattato con il sangue l’onore della divisa. È la storia dei martiri come Salvo D’Acquisto che non esitò a sacrificare la sua vita in cambio di altre vite innocenti. È la storia dei nostri militari internati in Germania, che scelsero il campo di concentramento piuttosto che collaborare con i nazisti. È la storia dei tanti che nascosero concittadini ebrei ricercati, salvandoli dalla deportazione. È la storia soprattutto dei tanti, tantissimi eroi sconosciuti che con piccoli o grandi gesti di coraggio quotidiano collaborarono alla causa della libertà.
Anche la Chiesa, voglio ricordarlo, fece la sua parte con vero coraggio, per evitare che concetti odiosi, come la razza o la differenza di religione, diventassero per molti motivo di persecuzione e di morte. Allo stesso modo bisogna ricordare i giovani ebrei della Brigata ebraica, arrivati dai ghetti di tutta Europa, che imbracciarono le armi e lottarono per la libertà. In quel momento tanti italiani di fedi diverse, di diverse culture, di diverse estrazioni si unirono per seguire lo stesso grande sogno, quello della libertà. Vi erano fra loro persone e gruppi molto diversi. Vi era chi pensava soltanto alla libertà, chi sognava di instaurare un ordine sociale e politico diverso, chi si considerava legato da un giuramento di fedeltà alla monarchia.
Ma tutti seppero accantonare le differenze, anche le più profonde, per combattere insieme. I comunisti e i cattolici, i socialisti e i liberali, gli azionisti e i monarchici, di fronte a un dramma comune, scrissero, ciascuno per la loro parte, una grande pagina della nostra storia. Una pagina sulla quale si fonda la nostra Costituzione, sulla quale si fonda la nostra libertà. Fu nella stesura della Costituzione che la saggezza dei leader politici di allora, De Gasperi e Togliatti, Ruini e Terracini, Nenni, Pacciardi e Parri, riuscì ad incanalare verso un unico obiettivo le profonde divaricazioni di partenza. Benché frutto evidente di compromessi, la Costituzione repubblicana riuscì a conseguire due obiettivi nobili e fondamentali: garantire la libertà e creare le condizioni per uno sviluppo democratico del Paese. Non fu poco. Anzi, fu il miglior compromesso allora possibile. Fu però mancato l’obiettivo di creare una coscienza morale “comune” della nazione, un obiettivo forse prematuro per quei tempi, tanto che il valore prevalente fu per tutti l’antifascismo, ma non per tutti l’antitotalitarismo. Fu il portato della storia, un compromesso utile a scongiurare che la Guerra fredda che divideva verticalmente l'Italia non sfociasse in una guerra civile dagli esiti imprevedibili. Ma l'assunzione di responsabilità e il senso dello Stato che animarono tutti i leader politici di allora restano una grande lezione che sarebbe imperdonabile dimenticare. Oggi, 64 anni dopo il 25 aprile 1945 e a vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino, il nostro compito, il compito di tutti, è quello di costruire finalmente un sentimento nazionale unitario.
Dobbiamo farlo tutti insieme, tutti insieme, quale che sia l’appartenenza politica, tutti insieme, per un nuovo inizio della nostra democrazia repubblicana, dove tutte le parti politiche si riconoscano nel valore più grande, la libertà, e nel suo nome si confrontino per il bene e nell’interesse di tutti. L'anniversario della riconquista della libertà è dunque l'occasione per riflettere sul passato, ma anche per riflettere sul presente e sull'avvenire dell’Italia. Se da oggi riusciremo a farlo insieme, avremo reso un grande servizio non a una parte politica o all'altra, ma al popolo italiano e, soprattutto, ai nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata. Noi abbiamo sempre respinto la tesi che il nostro avversario fosse il nostro nemico. Ce lo imponeva e ce lo impone la nostra religione della libertà. Con lo stesso spirito sono convinto che siano maturi i tempi perché la festa della Liberazione possa diventare la festa della Libertà, e possa togliere a questa ricorrenza il carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria le ha dato e che ancora “divide” piuttosto che “unire”. Lo dico con grande serenità, senza alcuna intenzione polemica. Il 25 aprile fu all’origine di una nuova stagione di democrazia e in democrazia il voto del popolo merita l’assoluto rispetto da parte di tutti. Il popolo, dopo il 25 aprile, votò pacificamente per la Repubblica, e la monarchia accettò il giudizio popolare. Poco dopo, il 18 aprile 1948, la scelta popolare fu di nuovo decisiva per il nostro Paese: con la vittoria di De Gasperi, il popolo italiano si riconobbe nella tradizione cristiana e liberale della sua storia. E gli anni Cinquanta, sempre con il sostegno del voto popolare, modellarono un’Italia come realtà democratica, economica e sociale. L’Italia divenne parte dell’Europa e dell’Occidente, fu tra i promotori dell’unità atlantica e dell’unità europea, diventò da Paese reietto un Paese rispettato.
Oggi i nostri giovani hanno davanti a loro altre sfide: difendere la libertà conquistata dai loro padri e ampliarla sempre di più, consapevoli come sono che senza libertà non vi può essere né pace, né giustizia, né benessere. Alcune di queste sfide sono planetarie e ci vedono impegnati a fianco dei Paesi liberi: la lotta contro il terrorismo, la lotta contro l’integralismo fanatico e liberticida, la lotta contro il razzismo, perché la libertà, la dignità e la pace sono un diritto di ogni essere umano, “ovunque” nel mondo. Ecco perché voglio qui ricordare i soldati italiani impegnati nelle missioni di pace all’estero, e in particolare tutti quelli che sono caduti nell’espletare questa nobile missione. C’è una continuità ideale fra loro e tutti gli eroi, italiani e alleati, che sacrificarono la loro vita più di 60 anni fa per ridarci la libertà nella sicurezza e nella pace.
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Oggi quell’insegnamento dei nostri padri assume un valore particolare: questo 25 aprile cade all’indomani della grande tragedia che ha colpito questa terra d’Abruzzo. Ancora una volta, di fronte all’emergenza e alla tragedia, gli italiani hanno saputo unirsi, hanno saputo superare le divergenze, sono riusciti a dimostrare di essere un grande popolo coeso nella generosità, nella solidarietà e nel coraggio. Guardando ai tanti italiani che si sono impegnati qui nell’opera di soccorso e di ricostruzione mi sento orgoglioso, ancora una volta, ancora di più, di essere italiano e di guidare questo meraviglioso Paese. Oggi Onna è per noi il simbolo della nostra Italia. Il terremoto che l’ha distrutta ci ricorda i giorni in cui fu l’invasore a distruggerla. Riedificarla vorrà dire ripetere il gesto della sua rinascita dopo la violenza nazista. Ed è proprio nei confronti degli eroi di allora e di oggi che noi tutti abbiamo una grande responsabilità: quella di mettere da parte ogni polemica, di guardare all’interesse della nazione, di tutelare il grande patrimonio di libertà che abbiamo ereditato dai nostri padri. Abbiamo, tutti insieme, la responsabilità e il dovere di costruire per tutti un futuro di prosperità, di sicurezza, di pace, e di libertà. Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva il 25 aprile, la festa di tutti gli italiani, che amano la libertà e vogliono restare liberi! Viva il 25 aprile la festa della riconquistata libertà!

IL PETROLIERE: SUDORE DELL'UOMO E DELLA TERRA




Ho visto ieri su Sky "Il Petroliere" e capisco perché non abbia avuto un gran successo commerciale.


E' una storia dura, raccontata senza sconti idealistici o romantici al mito della frontiera e del capitalismo portatore di progresso e prosperità, tra lande pietrose popolate di capre e erba selvatica, dove si mischia roccia, terra, petrolio, sudore, sangue, nelle quali Dio è assente o indifferente e si lascia rappresentare da improbabili ciarlatani profeti di una terza rivelazione.


Una storia troppo vera e cruda per poter piacere al grande pubblico, che anche in un film epico come questo cerca e spera in un riscatto finale, in una conversione al bene, in un rassicurante pentimento, in una carezza alle incertezze della propria anima.


Già il lungo prologo, in cui il protagonista si sfianca di fatica per cercare una vena d'argento, del tutto privo di rumori che non siano gemiti strozzati di fatica e dolore, picconate sulla pietra che sprizzano scintille, è difficilissimo da digerire per palati abituati a overture più ariose.


L'intero sviluppo del film poi è un costante cazzotto alla bocca dello stomaco: il duro lavoro dell'implacato cercatore di petrolio, la fatica sovrumana degli operai che in fondo al pozzo riempiono secchi e secchi, sversati in uno stagno maleodorante, magari lasciandoci la vita per una trave malfissata o troppo debole, la corsa all'accaparramento delle terre, con la sotterranea guerra tra cercatori indipendenti e grandi compagnie come la Standard e la Union Oil, i sermoni furbastri rivolti ai contadini facendogli balenare il sogno di guadagni tali da cambiare la vita di una intera comunità, come tante esche tese a un branco di pesci affamati, l'accordo con il predicatore ciarlatano che approfitta della superstizione e ignoranza dei suoi paesani per governare assieme, tra false guarigioni miracolose e false promesse di benessere e prosperità di un'intera comunità, le magre e desolate esistenze.


Un frammento potentissimo e fisico dell'epopea del capitalismo americano moderno che sa scendere però nel pozzo più profondo e scuro dell'animo del protagonista Daniel Plainview, al quale inspiegati traumi familiari ed esistenziali hanno strappato ogni sentimento di pietà, ogni capacità di comprensione e condivisione umana, generando un impasto ambiguo di crudeltà e tenerezza verso il bambino orfano di un suo compagno di lavoro, che spaccia per figlio proprio perché gli da quell'aria di rispettabilità e di affidabilità che il suo viso da lupo non ha; e che gli armano la mano furiosa contro l'impostore che si spaccia per suo fratello e alla fine contro il predicatore impostore che uccide a colpi di birillo da bowling in un delirio alcolico distruttivo e autodistruttivo, forse perché nell'imbonitore riconosce come in uno specchio il riflesso della propria immagine, della propria furbizia, della propria assenza di scrupoli, delle menzogne, di una vita intera votata al denaro e sopratutto alla voglia di strapparlo agli altri, ai gonzi, alla gente senza qualità, senza sogni, senza idee.


Un grande film, un grande regista (Peterson) allievo di Robert Altman, un immenso Daniel Dai Lewis, un cast all'altezza, una fotografia straordinaria, una colonna sonora implacabile e potente.

venerdì, aprile 24, 2009

BERLUSCONI NON E' UN PIRLA

Il "popolo" della sinistra ricopre di insulti e sberleffi Berlusconi a ogni sua uscita e dichiarazione.
Il gioco del Cav. è chiaro: rimanere sempre e comunque, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, al centro della scena politico-mediatica nazionale, e stare il più possibile su quella internazionale.
Ed è un gioco che gli riesce benissimo, grazie anche alla dabbenaggine di chi ne rilancia con insoffocata indignazione ogni battuta e inferocisce a ogni sua pretesa gaffe.
Epperò.
Le ultime due "uscite" di Berlusconi sono politicamente geniali, e solo se non si ha un minimo di lucida obiettività (l'odio ottunge l'intelligenza) si può reagire come si vede da molti blog e da facebook, con furibonde bordate di fischi e lazzi.
Berlusconi dunque dopo anni d'indifferenza celebra il 25 aprile e lo fa non nelle piazze e strade romane, milanesi, bolognesi, torinesi, nei cortei pieni di gagliardetti dell'ANPI e bandiere più o meno rosse, rosee, rosa pallido, con qualche tricolore; ma precisamente ad Onna, paese simbolo del terremoto abruzzese, cittadina che scontò un "piccolo" eccidio di civili ad opera di un reparto nazista, in uno dei tanti episodi "minori" rispetto ai grandi eccidi di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzena, le Fosse Ardeatine.
Sarà lì, tra le tende apprestate per i poveri superstiti del sisma, tra quel popolo minuto che qualche tempo fa, su FB, forse senza nemmeno intenzione malevola, anzi sono sicuro senza nessuna intenzione malevola (e questo forse è peggio) ho sentito chiamare "popolino"; quel popolino così sensibile e così facilmente suggestionabile a gesti di prossimità e attenzione, pronto a commuoversi alle storie di "Pronto Raffaella", che vede le serie televisive su carabinieri, poliziotti, guardia di finanza, guardia costiere, forestale..., che magari riesce a divertirsi con le battute della compagnia del Bagaglino, che segue ogni sabato "La Corrida" dai tempi di Corrado e ora con il suo erede Gerry Scotti, che si appassiona a "Verissimo"...
Quasi nelle stesse ore Berlusconi, spiazzando tutti, persino i suoi ministri, decide che il vertice del G8 si farà proprio in Abruzzo e non in una blindatissima località sarda, ottenendo un triplice obiettivo: richiamare ancor più l'attenzione dei media internazionali sull'evento, portando i "Grandi" della Terra tra gli umili e semplici in una regione martoriata dal terremoto e additando a essi le qualità di fierezza, orgoglio, coraggio, tenacia degli abruzzesi, e per traslato degli italiani; risparmiare un bel gruzzolo di milioni e milioni di euro, quanti ne erano necessari per apprestare il vertice sardo, che potranno confluire nei fondi per la ricostruzione; azzerare il rischio di manifestazioni e proteste NO GLOBAL perché anche il più scalmanato di essi (a parte la difficoltà di arrivare in Abruzzo e di muoversi tra macerie e tendopoli) non potrà pensare di turbare un vertice che avvicina i potenti della terra agli ultimi e miseri o pensare di aggiungere ai tanti travagli della popolazione abbruzzese anche il casino di cortei, tute bianche, tute nere, cassonetti incendiati.
Certo, vi è demagogia, populismo, leaderismo carismatico in tutte queste scelte.
Ma sono scelte che il "popolino" sente e condivide e che cementano un sentimento di maggiore vicinanza di Berlusconi ai suoi sentimenti e ai suoi umori, e che si ispirano a una concretezza del fare che in una nazione intossicata di parole, analisi, misure in cui, parole logore come "grande sfida", "grande occasione", "risposte adeguate alla complessità dei problemi", o slogan ormai pressocché dimenticati e miseramente falliti come "I Care", "Si può fare"(brutta e patetica traduzione letterale del "Yes, We can" obamiano), per non dire dei patetici "Io C'entro" casiniani.
Il mondo reale non è la piazza virtuale dei blog e di facebook dove ritrovarsi e rassicurarsi vicendevolmente come vecchi amici di una fotografia o di una comitiva dispersi nelle mille strade dei percorsi individuali, familiari e sociali sull'identità, il nocciolo duro, il siamo sempre gli stessi, l'orgoglio dei vecchi simboli politici.
E' fuori, tra le macerie, nei mille paesi dell'appennino, tra le case del "popolino" di cui noi borghesi professionisti o burocrati, intellettuali, frequentatori di blog e facebook non abbiamo forse nemmeno una vera idea, troppo impegnati ad autocelebrarci come elite intellettuale e morale di questa nazione, tra un incontro in libreria per la presentazione dell'ultimo libro di grido o di semplice moda e un caffé para-letterario.
Trenta, quaranta anni fa la sinistra era di popolo, nel popolo, per il popolo; oggi è nei salotti, nelle librerie, negli assessorati, nelle cene sociali.
Meditate gente, meditate