Forse dovrei riprendere a leggere Osho, ma ho la sensazione che Pavese, nel suo pessimismo, colga meglio l'essenza delle cose, o almeno il sentimento umano delle cose. Si ha un bel dire che bisogna donare, dare, dare, dare, ma il rischio è di svuotarsi, senza potere ricaricarsi in alcun modo. E poi, siamo pratici: se a chi dai non importa nulla, o non vuole ricevere niente, è acqua che si disperde vana. E' umano cercare di contare nella vita degli altri, è questo che da il senso di ciascuna vita, io credo. Importa poi tanto contare solo nella propria vita? Si può accettare un solipsismo più o meno sereno e appagante? Può un solipsismo essere appagante? Anche gli egoisti hanno bisogno degli altri, più degli altruisti. La prospettiva cristiana ha un senso in quanto c'é Chi accetta il tuo amore e lo ricambia, ed è straordinaria perché Colui che E' accetta l'amore di tutti, perché tutti sono suoi figli, sue creature fatti figli nella fratellanza di Cristo. Ma solo Dio che è amore infinito può accettare di amare senza attendere nulla in cambio. Eppure persino Lui vuole essere riamato dai suoi figli, per libera scelta d'amore (il libero arbitrio è proprio questo, libera scelta, e distingue il Dio-Padre e Madre cristiano dal Dio-Padrone ebraico e musulmano).
Bisognerebbe allora fondare la propria vita anzitutto sull'amore per Dio? Si, sarebbe cosa buona, giusta e saggia. Ma non facile, perché la fede è sì ricerca, ma soprattutto Grazia, e non sempre la si possiede, e non la si possiede continuativamente e per sempre. E poi, come direbbe Pascal, è una scommessa: testa o croce, quale sarà il lato giusto della moneta? Se Dio esiste, e non è una costruzione mitologica per vincere l'angoscia della morte, la scommessa è vincente; se Dio non esiste, la scommessa è perdente, può aiutare a vivere ma può essere una tragica illusione, che nasconde la cruda realtà di un mondo di uomini e donne infelici, animati più da istinti che da sentimenti, inclini a nascondere piccole astuzie di vita quotidiana con grandi e falsi ideali.
La cosa migliore allora potrebbe essere guardare la realtà come è, non come la vorremmo.
E se quella realtà è brutta, insopportabile, meschina, misera, al fondo squallida?
Siamo proprio pessimisti, stamattina, non c'é che dire.
mercoledì, marzo 29, 2006
Tra cambiamenti climatici e bufere elettorali
Nel linguaggio politico giornalistico è invalso l'uso di espressioni del tipo "Bufera su...", "Ciclone su...", "Uragano di...", volta a volta riferiti a esternazioni più o meno incaute di questo o quell'esponente politico, inchieste giudiziarie su ambienti finanziari con risvolti su circoli più o meno istituzionali e politici, e via discorrendo.
Forse questa sensibilità "climatologica" nasce proprio da un'angoscia nemmeno troppo sottile e velata per i cambiamenti climatici in atto.
Che non ci siano più le mezze stagioni, che i confini tra le stagioni siano vaghi, che in un contesto stagionale convivano fenomeni più o meno estremi e contraddittori, è esperienza quotidiana.
Abbiamo avuto un inverno molto rigido, freddo, nevoso, avremo probabilmente la "solita" estate calda e umida.
Il successo di film come "The day after tomorrow" nasce dall'esigenza di esorcizzare, attraverso una fantasy terrificante e nella sua troppo rapida concatenazione di eventi poco credibile, e quindi in qualche modo rassicurante, quell'angoscia d'insicurezza che prende alla gola rispetto a fenomeni che sappiamo di non poter controllare.
Forse un severo e serio impegno sui Protocolli di Kyoto, un'inversione reale di tendenza sull'emissione di gas serra in atmosfera, l'uso intelligente e parsimonioso delle risorse naturali, prime tra tutte l'acqua (il controllo delle fonti idriche nel futuro sarà strategico come e più del controllo delle fonti di energia), la costruzione di fonti di energia alternative rispetto alla monocultura petrolifera, potrebbero modulare almeno i tempi dei cambiamenti climatici, se non fermarli prima che sia troppo tardi.
Uno studio pubblicato credo su Science e basato su osservazioni relative al decennio 1985-1995 delinea scenari inquietanti, proprio da Day after tomorrow, con l'interruzione della corrente del Golfo nel suo flusso verso nord, la desalinizzazione delle acque marine per effetto dello scioglimento dei ghiacci del pack artico e della Groenlandia, e una glaciazione a venire dell'emisfero settentrionale.
Dietro i fastidi e le insofferenze per i rigidi inverni e le torride estati (e in questo paese siamo ancora fortunati perché non conosciamo la forza distruttiva di uragani come Katrina, di inondazioni come nei paesi asiatici, di siccità devastanti come quelle che fanno avanzare il deserto nell'Africa subsahariana), con il bollettino di morti di freddo e di caldo che colpiscono i più deboli (bambini e anziani), si cela la percezione dell'accresciuta precarietà delle condizioni basilari dell'esistenza.
Fa un po' ridere, dinanzi alla dimensione di questi problemi, la "bufera" elettorale che imperversa in questa primavera, il clima da scontro finale tipo Alien-Berlusconi vs. Predator-Prodi (o Prodator?), la delineazione di un 11 aprile come un day after tomorrow di macerie, lacrime e sangue per i vinti.
I "fenomeni estremi" della politica italiana sono soltanto il segno della sua povertà di idee, cultura e civiltà. Come meravigliarsi del declino italiano se questa è la classe politica che dovrebbe tracciare la rotta? La crisi italiana nasce dalla insufficienza della sua classe dirigente, nel senso più largo del termine, dagli imprenditori, agli intellettuali, ai burocrati, ai ceti professionali, agli stessi servitori dello Stato (compresi i magistrati, e se lo dice un magistrato gli si può credere).
Forse questa sensibilità "climatologica" nasce proprio da un'angoscia nemmeno troppo sottile e velata per i cambiamenti climatici in atto.
Che non ci siano più le mezze stagioni, che i confini tra le stagioni siano vaghi, che in un contesto stagionale convivano fenomeni più o meno estremi e contraddittori, è esperienza quotidiana.
Abbiamo avuto un inverno molto rigido, freddo, nevoso, avremo probabilmente la "solita" estate calda e umida.
Il successo di film come "The day after tomorrow" nasce dall'esigenza di esorcizzare, attraverso una fantasy terrificante e nella sua troppo rapida concatenazione di eventi poco credibile, e quindi in qualche modo rassicurante, quell'angoscia d'insicurezza che prende alla gola rispetto a fenomeni che sappiamo di non poter controllare.
Forse un severo e serio impegno sui Protocolli di Kyoto, un'inversione reale di tendenza sull'emissione di gas serra in atmosfera, l'uso intelligente e parsimonioso delle risorse naturali, prime tra tutte l'acqua (il controllo delle fonti idriche nel futuro sarà strategico come e più del controllo delle fonti di energia), la costruzione di fonti di energia alternative rispetto alla monocultura petrolifera, potrebbero modulare almeno i tempi dei cambiamenti climatici, se non fermarli prima che sia troppo tardi.
Uno studio pubblicato credo su Science e basato su osservazioni relative al decennio 1985-1995 delinea scenari inquietanti, proprio da Day after tomorrow, con l'interruzione della corrente del Golfo nel suo flusso verso nord, la desalinizzazione delle acque marine per effetto dello scioglimento dei ghiacci del pack artico e della Groenlandia, e una glaciazione a venire dell'emisfero settentrionale.
Dietro i fastidi e le insofferenze per i rigidi inverni e le torride estati (e in questo paese siamo ancora fortunati perché non conosciamo la forza distruttiva di uragani come Katrina, di inondazioni come nei paesi asiatici, di siccità devastanti come quelle che fanno avanzare il deserto nell'Africa subsahariana), con il bollettino di morti di freddo e di caldo che colpiscono i più deboli (bambini e anziani), si cela la percezione dell'accresciuta precarietà delle condizioni basilari dell'esistenza.
Fa un po' ridere, dinanzi alla dimensione di questi problemi, la "bufera" elettorale che imperversa in questa primavera, il clima da scontro finale tipo Alien-Berlusconi vs. Predator-Prodi (o Prodator?), la delineazione di un 11 aprile come un day after tomorrow di macerie, lacrime e sangue per i vinti.
I "fenomeni estremi" della politica italiana sono soltanto il segno della sua povertà di idee, cultura e civiltà. Come meravigliarsi del declino italiano se questa è la classe politica che dovrebbe tracciare la rotta? La crisi italiana nasce dalla insufficienza della sua classe dirigente, nel senso più largo del termine, dagli imprenditori, agli intellettuali, ai burocrati, ai ceti professionali, agli stessi servitori dello Stato (compresi i magistrati, e se lo dice un magistrato gli si può credere).
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