Il miglior commento che ho letto sulla squallida vicenda di "Raiopoli", ossia sui traffici tra veline e portaborse per promuovere gli ingaggi televisivi di queste ragazze di belle (??) speranze, è stato quello di Lina Sotis sul Corriere della Sera di ieri.
Si ha un bel dire che "così fan tutte" (e tutti), e che se non c'è vera costrizione non c'è concussione; questi sono discorsi forensi e giudiziari che lasciano il tempo che trovano. E' possibile, forse probabile, che quei portaborse la "sfangheranno" e non è detto che le protagoniste dei loro discorsi "porcelli" non ne usciranno con rinnovata notorietà e qualche contratto televisivo più vantaggioso.
Ed il punto non è nemmeno se la Rai di centrodestra sia stata più sentina di vizi di quella di centrosinistra: il potere e il sotto-potere, il governo e il sottogoverno esigono sempre i propri dividendi, siano tangenti, contributi ai partiti, incarichi e prebende, posti di lavoro, divani ministeriali con bonazze scosciate.
E' che è francamente disarmante pensare che quegli uomini, un po' grassocci, un po' vecchiotti, che parlano tra loro con il tipico linguaggio casermesco, che sembrano la riedizione di personaggi della commedia pecoreccia cinematografica degli anni '70, siano in modo diretto o indiretto, i "reggitori" delle cose pubbliche.
Da un re mancato, cresciuto senza una corte vera e costretto a inventarsi una specie di "corte dei miracoli", cresciuto circondato di sorelle e con un padre severo, distaccato e lontano, ci si può anche attendere discorsi come quelli intercettati e "sparati" sui giornali in questi giorni. I Savoia seppero fare anche di peggio, in fondo, e anche l'antenato unificatore d'Italia fu uomo nel privato alquanto greve e rozzo, tutt'altra pasta rispetto al padre Carlo Alberto, tanto da far sospettare che non fosse il suo vero erede.
Ma questi portaborse campano dalla politica, campano dai partiti e dalle istituzioni, qualche volta sono anche "graziosamente" destinatari di seggi parlamentari, insomma campano alle nostre spalle, cioé campano di danaro pubblico, siamo noi che li paghiamo.
Sarebbe lecito, dunque, attendersi almeno un minimo di decenza, di pudore nell'utilizzare il loro potere, le macchine e i divani ministeriali.
E gioverebbe di più alla credibilità dei loro "mentori" una dissociazione almeno dalla grevità dei comportamenti, anziché le alte grida al complotto.
Sono tutt'altro che giustizialista, credo che le intercettazioni vadano usate con discernimento, ricordo che Binnu Provenzano è stato catturato senza intercettazioni, coi vecchi metodi investigativi di una volta, che richiedono più tempo e fatica e consentono molte meno "uscite" trionfanti in conferenze stampa radio-tv ma che costituiscono il vero cuore del lavoro di polizia giudiziaria e criminale.
Questo però non giustifica che si guardi solo al protagonismo di certi PM (che pure è innegabile), o alla sincronia sorprendente di certi esiti giudiziari, quando lo "spirito pubblico", come ha detto bene, devo riconoscere, Piero Fassino a Ballarò, segna un punto così basso.
Perché siamo caduti così in basso?
Un tempo c'erano i partiti, che funzionavano male certo, con le loro correnti, i signori delle tessere, le spartizioni d'influenza elettorale del territorio; ma almeno esisteva un cursus honorum, dalle sezioni ai consigli di quartiere, a quelli comunali, provinciali e regionali; c'erano, bene o male, i congressi dei partiti, un minimo meccanismo di controllo democratico, una formazione alla politica, ideologie e qualche ideale.
Con la crisi della prima repubblica, la scomparsa dei partiti di massa, i partiti-azienda, i partiti-comitati elettorali, i partiti-leader è venuta meno quella minima coesione democratica e la politica è diventata guerra per bande d'interessi, spartizione di risorse tra tribù, clan, capiclan.
Il vuoto della politica è colmato dai poteri (banche, imprese, chiesa, magistratura, burocrazia, televisioni...) e ciascuno di essi è al suo interno frammentato, e soprattutto ciascuno gioca in proprio.
Il senso delle istituzioni, il senso dello Stato si disperde in mille rivoli, generalmente intorbidato dagli interessi oligarchici, e risplende solo, di tanto in tanto e a fatica, nel sacrificio anonimo quotidiano di quelli che "fanno il proprio dovere" e come il capitano Bellotti de "Il giorno della civetta" mangiano solo la poca razione del pane dello Stato e si accontentano di quella.
Questi sì sono veri uomini e donne, e dati i tempi sono quasi degli eroi.
Gli altri, che si riempiono le tasche e le ganasce, che si sollazzano con le veline (e/o con i velini), che siedono indegnamente su scranni di organi elettivi e che dovrebbero rappresentare la Nazione (!!!!), sono nemmeno ominicchi e quaquaraquà.
Sono niente.
Anzi, come si dice in Sicilia: Nuddu miscato a nniente.
giovedì, giugno 22, 2006
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