domenica, maggio 14, 2006

BIANCONERI DEL BORGOROSSO


"Bianconeri del Borgorosso, rosso rosso rosso rosso, bianconeri del borgo rosso, rosso rosso football club"!
Ve lo ricordate l'inno intonato con orgoglio dall'indimenticabile Alberto Sordi, nei panni del Presidente del Borgorosso Football Club?
Sembra passato un secolo, ed era solo ieri o l'altro ieri. Le società di calcio non erano società quotate in borsa, i calciatori facevano lunghe trafile dalle serie inferiori, gli allenatori erano ruspanti come il mitico Oronzo Pugliese, con i suoi riti propiziatori (cui forse si ispirò Trappattoni ai mondiali nippo-coreani del 2002, senza fortuna, con l'acqua santa sparsa sul campo...), i giornali raccontavano con retoriche guerresche gli epici scontri della domenica pomeriggio (altro che anticipi e posticipi serali), il calcio era in bianco e nero come tutto il resto, ma non nel senso dell'egemonia juventina.
Tutto pulito a quei tempi? No, anche allora c'erano magagne, arbitri comprati e venduti, ma in maniera "casereccia", alla buona, senza metodo "scientifico", senza pianificazioni che magari coinvolgevano interi campionati e poi qualificazioni in coppa dei campioni (così si chiamava allora, prima che l'anglicismo imperversante e la formula a gironi eliminatori ne facessero un supercampionato europeo).
I Presidenti erano industrialotti che scoprivano il pianeta calcio mettendoci dentro quel tanto di mecenatismo che avevano e potevano, magari rovinandosi, come appunto il Presidente del Borgorosso, senza decreti "spalmadebiti" e salvataggi più o meno politici, senza "parametri" di ripescaggio, con la forza della proprietà dei cartellini dei giocatori, che erano veri "lavoratori dipendenti" e non "liberi professionisti" della pedata, senza sponsor unici, tecnici, senza nomi sulle maglie, senza dirette televisive e processi televisivi di compagnie di giro.
A quei tempi il calcio aveva il sapore e il colore di "Tutto il calcio minuto per minuto", già "90° minuto" era un'innovazione trascendentale, "La Domenica Sportiva", condotta da Enzo Tortora o da Tito Stagno un vero rito religioso per i fedeli di "Eupalla" (la immaginifica divinità della penna inimitabile di Gianni Brera), le moviole avevano immagini sgranate, da cui si vedeva abbastanza poco, gli arbitri erano i signori e padroni incontrastati del campo di gioco, e Concetto Lobello aveva l'autorità di un ministro.
L'arrivo delle dirette, dei digitali terrestri, spaziali, interplanetari, interstellari e intergalattici (gli unici "spazi" in cui l'Inter sia incontestabilmente prima!), le ricche sponsorizzazioni, il riparto della ricca torta dei diritti TV, la lievitazione incontrollata dei prezzi dei giocatori svincolati dalla sentenza "Bosman", e quindi dei loro ingaggi, e di conserva quella degli "onorari" dei loro procuratori, dei compensi degli allenatori, dei dirigenti-manager, di tutta la compagnia "contante" (forse solo i magazzinieri ne son restati fuori), hanno fatto del calcio un'industria: e siccome i profitti dipendono dai risultati e dai titoli vinti, è quasi naturale che in questa industria allignassero, come d'altra parte in tanti settori di questo Paese, pratiche "anticoncorrenziali" e "cartelli oligopolistici".
Che ha fatto, in fondo, Moggi di diverso da quanto hanno fatto e fanno i capitani d'industria, compresi quelli presuntamente "coraggiosi" celebrati ai tempi della privatizzazione della Telecom, i Consorte, i Fiorani, i "furbetti del quartierino" noti e quelli meno noti sfuggiti alle maglie della giustizia, i tanti che hanno beneficiato delle privatizzazioni sostituendo monopoli privati a monopoli pubblici (vedi caso Autostrade)?
Ha, ne più né meno, applicato, con gli adattamenti del caso, pratiche anticoncorrenziali, per consolidare un oligopolio pallonaro che generasse profitti.
Tanto più che l'azionista di riferimento della Juve si era man mano sfilato dalla gestione e disimpegnato finanziariamente (un po' come accaduto alla Fiat sino a appena due anni fa) e quindi si doveva "industriare" e "ingegnare".
Dopo di che, siccome anche Moggi "tiene famiglia", come poteva non pensare a "sistemare" il figlio?
Mi scoccia dar ragione a Mughini, ma è vero che troppe "vergini" presunte e dell'ultima ora si stracciano le vesti disperate e affrante, non avendo sino a ieri o all'altro ieri disdegnato l'alcova del "manovratore" o le sue blandizie, tessendone le lodi, contendendoselo per le sue capacità di novello Re Mida del mondo pallonaro.
Certo, è un po' triste (e se lo dice un interista c'è da credergli) vedere i tifosi juventini che nonostante tutto, oggi, hanno invaso Bari e il San Nicola, in un tripudio di sciarpe e cappellini bianconeri e bandiere tricolori, per festeggiare uno scudetto solo provvisoriamente assegnato, destinato con ogni probabilità a essere revocato, assieme al 28°, e fosse solo questo sarebbe niente perché a leggere i giornali la retrocessione è cosa abbastanza probabile, se non certa.
Vedendoli passare, nei pullman scortati dalla polizia, guardando in TV le immagini di piazza Castello a Torino, quei festeggiamenti un po' mesti ricordano i funerali di New Orleans, con le orchestre di diexiland che suonano motivetti allegri accompagnando le bare al cimitero.
Ma anche questi tifosi hanno poi diritto a tutta la comprensione del mondo? Non sono loro che, insaziabili, incontentabili, incontenibili, hanno spinto questo mondo pallonaro, inscenando manifestazioni di piazza per la cessione o il mancato acquisto di un campione, alimentando i processi televisivi e le compagnie di giro dell'avanspettacolo calcistico-giornalistico?
Fa un po' ridere, devo proprio dirlo, sentire che qualcuno, per cavalcarne la delusione, arrivi a prospettare richieste di risarcimenti alla Lega, alla FIGC, alla Juve, alla Triade, nel nome dei diritti del consumatore, quasi che ci sia un diritto a vincere gli scudetti, a non retrocedere, a qualificarsi per le coppe europee.
Se la rifondazione comincia così, c'è poco da sperare.