domenica, giugno 11, 2006

Compagni di scuola

Compagno di scuola

Davanti alla scuola tanta gente
otto e venti, prima campana
"e spegni quella sigaretta"
e migliaia di gambe e di occhiali
di corsa sulle scale.
Le otto e mezza tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
sullo stesso libro, nello stesso modo,
con le stesse parole da quarant'anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.
E la Divina Commedia, sempre più commedia
al punto che ancora oggi io non so
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito.
Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco,
la più carina, la più cretina,
cretino tu, che rideva sempre
proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole,
gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto
sotto il banco.
Mezzogiorno, tutto scompare,
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell'ultima festa
e del vestito nuovo, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee e i cineforum i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un '68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?

Notte prima degli esami

Io mi ricordo quattro ragazzi con la chitarra
e un pianoforte sulla spalla,
come i pini di Roma la vita non li spezza,
questa notte è ancora nostra,
come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati.
Le bombe delle sei non fanno male,
è solo il giorno che muore, è solo il giorno che muore.
Gli esami sono vicini e tu sei troppo lontana dalla mia stanza,
tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto,
stasera al solito posto, la luna sembra strana
sarà che non ti vedo da una settimana.
Maturità t'avessi preso prima, le mie mani sul tuo seno
è fitto il tuo mistero,
e il tuo peccato è originale come i tuoi calzoni americani,
non fermare ti prego le mie mani
sulle tue cosce tese, chiuse come le chiese
quando ti vuoi confessare.
Notte prima degli esami, notte di polizia,
certo qualcuno te lo sei portato via,
notte di mamme e di papà col biberon in mano,
notte di nonne alla finestra, ma questa notte è ancora nostra,
notte di giovani attori di pizze fredde e di calzoni,
notte di sogni di coppe e di campioni,
notte di lacrime e preghiere,
la matematica non sarà mai il mio mestiere,
e gli aerei volano alto tra N.York e Mosca,
ma questa notte è ancora nostra,
Claudia non tremare, non ti posso far male, se l'amore è amore.
Si accendono le luci qui sul palco
ma quanti amici intorno che mi viene voglia di cantare,
forse cambiarti, certo un po' diversi
ma con la voglia ancora di cambiare,
se l'amore è amore - se l'amore è amore - se l'amore è amore -
se l'amore è amore - se l'amore è amore ...

Giulio Cesare

Eravamo 34 quelli della terza E
tutti belli ed eleganti tranne me.
Era l’anno dei mondiali quelli del '66
la regina d'Inghilterra era Pelè.
Sta crescendo, come il vento questa vita mia
sta crescendo, questa smania che mi porta via
sta crescendo come me.
Eravamo 34 quelli della terza E
sconosciuto il mio futuro dentro me,
e mio padre una montagna troppo alta da scalare
nel paese una coscienza popolare.
Sta crescendo, come il vento questa vita mia
sta crescendo, questa rabbia che mi porta via
sta crescendo come me.
La giovane Italia cantava ehi ahi ha ha,
Davanti alla scuola pensavo viva la libertà,
tu dove sei, coraggio di quei giorni miei
coscienza, voglia e malattia di un canzone ancora mia,
ancora mia.
Nasce qui da te, qui davanti a te, Giulio Cesare.
Eravamo 34 e adesso non ci siamo più
e seduto in questo banco ci sei tu,
era l'anno dei mondiali quelli dell'86,
Paolo Rossi era un ragazzo come noi.
Sta crescendo, come il vento questa vita tua
sta crescendo, questa rabbia che ti porta via
sta crescendo come me.
L’estate è nell’aria brindiamo alla maturità,
l’ Europa è lontana, partiamo, viva la libertà
tu come stai ragazzo dell'86
coraggio di quei giorni miei
coscienza, voglia e malattia di un canzone ancora mia,
ancora mia.
Nasce qui da te, qui davanti a te, Giulio Cesare.

E' un trittico di canzoni di Antonello Venditti, notissime alla mia generazione ma di certo non sconosciute ai "giovani d'oggi" (espressione che titolava l'ultimo film della serie di Don Camillo, imparagonabile a quelli "veri" con Gino Cervi e Fernandel).
La seconda canzone della serie ha dato titolo anche a un recente film, che come sempre vedrò in pay per view ("Notte prima degli esami").
Sono canzoni che, per me, hanno il sapore dei primi anni settanta, il lustro nel quale (dal 1971 al 1976) si è racchiusa l'esperienza del liceo classico, il "Quinto Orazio Flacco" di Bari, che per Bari è quanto dire il "Giulio Cesare" di Roma, protagonista della terza canzone.
Il senso complessivo alle altre due canzoni lo da la prima "Compagno di scuola", che richiama una categoria dello spirito nitida e diversa da quella della "amicizia", quanto questa è diversissima da quella della "colleganza".
Coi colleghi c'è la condivisione di una condizione di lavoro, di problematiche comuni, di interessi omogenei.
Con gli amici c'è l'affinità di modi di essere e di sentire, il dialogo, il sostegno e la confidenza, la spalla su cui piangere, magari, i momenti felici e infelici.
Con i compagni di scuola c'è qualcosa di diverso, e molto di più: l'iniziazione alla vita, alla dimensione sociale dell'esistenza, la fuoriuscita dal guscio familiare, la condivisione dei turbamenti amorosi, delle passioni politiche, del senso straniato e straniante dell'adolescenza, quando si mollano gli ormeggi del porticciolo dell'infanzia e si affronta sulla stessa imbarcazione (la classe che raccoglie i compagni di scuola) il mare della vita.
Per questo il legame coi compagni di scuola è legame di sangue, patto iniziatico, linguaggio cifrato che si ritrova quando ci si rivede, anche dopo quarant'anni.
La vita divide e separa, certo. Ma quando ci si ritrova, magari un po' ingrassati, con le rughe, coi capelli spruzzati di grigio, coi primi acciacchi dell'età, negli sguardi reciproci rimane l'immagine ferma e immobile dei quattordici-diciotto anni, i soprannomi di un tempo, il sentimento di appartenenza di tutti a ciascuno, e di tutti a un tutto unitario, la propria classe.
C'è una linea sottile che divide la spontaneità, freschezza e magia del ritrovarsi dalla pateticità dell'amarcord, dalla malinconia sottile che pervade l'inevitabile constatazione delle "ingiurie" del tempo e della vita.
E' difficile non varcare il confine: ed io, infatti, proprio per non varcarlo non ho mantenuto consuetudine di vita coi miei compagni di scuola. Li vedo poco, purtroppo spesso in questa fase della vita ai funerali dei genitori (mi è accaduto appena tre giorni fa), perché è passato il tempo dei matrimoni, e prima ancora quello delle lauree. E so che, prima o poi (ma speriamo più tardi che mai) ci rivedremo ai "nostri" funerali, e quando non li rivedrò sarà perché staranno celebrando il mio.
Ma, quando li rivedo, e quando mi rivedono, non c'è bisogno di raccontarsi nulla, e non conta davvero raccontarsi nulla; non importa cosa si è diventati, in meglio o in peggio, se si ha la pressione alta o bassa, se si è ancora sposati o già separati e divorziati, se i figli vanno bene o male a scuola (per chi ha figli), se si abita ancora nel vecchio quartiere o si è cambiato rione o addirittura città o nazione.
Si è semplicemente, e per sempre, compagni di scuola, e dietro le rughe, le pance, i capelli grigi, si scorgono i capelli lunghi, i fisici, i visi appena coperti di lanugine barbosa, l'acne più o meno soffusa o aggressiva, degli anni verdi.
Si è i ragazzi che si è stati e che si rimane dietro la scorza rugosa degli anni, come una castagna fresca nel suo guscio acuminato.