Da Roma in Puglia ieri il cielo era bianco di umidità. La cappa di afa sembrava un mantello steso a nascondere il cielo ai dannati della terra.
Il termometro non è sceso al di sotto dei 37 gradi, con punte di 42 sulle propaggini pugliesi dell'Appenino.
Tutto bolliva, tra cantieri di lavoro, rallentamenti, code per incidente, con i volontari che distribuivano bottigliette d'acqua, ovviamente a temperatura ambiente, e quindi calda.
Qualche utilitaria o vecchia berlina si avventurava in autostrada a finestrini aperti e non so se e come conducente e passeggeri siano riusciti ad arrivare vivi alla loro destinazione.
C'è qualcosa di sinistro, ormai, anche nel lessico meteorologico. Dalle radio e dai canali televisivi s'insiste che questo inferno bianco d'afa è dovuto all'alta pressione africana, che fa da contraltare alla bassa pressione artica.
Già detta così la condizione climatica mette ansia; in quell'alta pressione africana c'è un riflesso del mistero e dell'orrore del cuore nero dell'Africa nera da viaggiatori dell'ottocento, da lettori di antiche gazzette a quattro facciate che si chiedevano ansioni che fine avesse fatto Livingstone, da cuore di tenebra congolese di conradiana memoria.
E in quella bassa pressione artica come non avvertire il senso sgomento della solitudine degli omologhi esploratori dei ghiacci, la ricerca febbrile del comandante Umberto Nobile e della sua mitica tenda rossa fra le macerie del dirigibile Italia?
Non basta la fresca immagine dell'annunciatrice di Sky Meteo e i suoi eufemismi circa il cielo soleggiato e il lieve ulteriore aumento delle temperature.
In questo scenario climatico da day after tomorrow ci vorrebbe il viso simpatico, arguto, rassicurante, da nonno affettuoso, del colonnello Edmondo Bernacca, il vero inimitabile antesignano della metereologia d'intrattenimento (altro che il supponente con falso low profile Fabio Fazio!).
Solo Bernacca potrebbe rassicurare, con la competenza del colonnello dell'areonautica a riposo o prossimo alla pensione, con la bonomia del vecchio militare che si è occupato per una vita di isobare e millibar, con l'arguzia saggia dei sessantenni d'un tempo, che non si tingevano i capelli e non conoscevano le lampade UVA.
Ma Bernacca non avrebbe mai parlato di alta pressione africana o bassa pressione artica.
Nel suo lessico la prima era il "macho" anticiclone delle Azzorre, che già a chiamarlo così suggerisce l'idea positiva di qualcosa che protegge, e non minaccia; la seconda, invece, la depressione islandese, come un'algida ma affascinante vichinga dagli occhi di ghiaccio.
Si dirà: come che la si chiami è un'afa boia.
Vero, ma poichè il caldo e la sua sopportazione sono anche collegati con le nostre percezioni e sensazioni, con nostro clima psicologico, può non essere indifferente confrontarsi con qualcosa di meno minaccioso di questa alta pressione africana; che appunto preme dall'alto, schiaccia, annichilisce, con la forza implacabile, misteriosa, irresistibile di un rito tribale.
Nelle città nemiche della natura, negli uffici e case della giungla d'asfalto, nei canyon urbani, in queste grandi bolle sataniche che sono gli agglomerati urbani, è più difficile sopportare l'alta pressione che l'anticiclone.
O no?
giovedì, giugno 29, 2006
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