sabato, maggio 20, 2006

La bestia nel cuore


"La bestia nel cuore" è un film bellissimo. L'ho visto ieri sera in pay per view su Sky. Ero tornato da Roma stanco e anche un po' depresso, per niente in particolare e per tutto in generale. Sapevo che era stato candidato all'Oscar per miglior film straniero. Ma il suo oscar lo aveva già vinto come successo di pubblico e critica. Sapevo che era tratto da un romanzo della stessa regista Cristina Comencini, e che il romanzo era andato a ruba. Sapevo che era uscito in contemporanea con "I giorni dell'abbandono" e che si era scatenata la solita guerra italiana "guelfi-ghibellini" tra i sostenitori della Margherita Buy, protagonista del film di Roberto Faenza, e quelli di Giovanna Mezzogiorno, intensissima interprete del film della Comencini.
Perché il film mi è piaciuto?
Secondo me un grande film, pur avendo un nucleo narrativo portante, deve essere capace di offrire una ricchezza di intrecci di storie, situazioni, sentimenti, vite come è normale nella vita di ogni giorno e di ciascuno.
La storia centrale è quella di due fratelli, Sabina e Daniele, figli di due austeri e all'apparenza grigi e inappuntabili insegnanti di scuola media superiore.
In una casa piccolo-borghese degli anni '60-'70, ingombra di mobili classici, solidi, comuni, con le porte di vetro smerigliato, si dipana l'esistenza di una famiglia "normale": il padre, severo, corregge i compiti nel suo studio, la madre, sbiadita e succube, li corregge in cucina.
La famiglia "normale" ha un "cuore di tenebra": dietro l'apparenza perbene della qualunque famiglia, così rassicurante nel quadretto classico (padre, madre, il maschietto più grande, la femminuccia), si nasconde il terribile segreto di un'infanzia violata, di un padre pedofilo che, finita la correzione dei compiti, percorre il corridoio e chiama il figlio, con voce lamentosa e quasi da bambino, per i suoi "giochi" malati; e dopo la ribellione del figlio, che la madre consapevole e accondiscendente cerca di rassicurare dicendogli "siamo una famiglia", approccia anche la piccola Sabina, solo due volte.
Troppo poco perché Sabina ne serbi un ricordo cosciente. Troppo perché non ne resti segnata nell'inconscio, dal quale l'incubo emergerà in forma di sogno dopo che essa avrà ripreso contatto con le foto dei genitori, di cui torna a occuparsi per la traslazione dei resti a distanza di anni dalla loro morte.
Emilia, l'amica cieca di Sabina, che vive rinchiusa in un appartamento con il suo cane, passando il tempo su un telaio e ascoltando musica, e che ama Sabina, e che ricorda quel ritratto di famiglia "normale" e "rassicurante", coglie il senso del rifiuto inconscio dell'amica di affrontare il dolore e l'angoscia quando le dice che lei cerca di mettere sempre una "distanza", un "distacco", dalle cose che la feriscono.
Maria, l'amica cinquantenne di Sabina, che la dirige nel suo lavoro di doppiatrice, non riesce a penetrare la superficie del mare oscuro che è la coscienza di Sabina, perché troppo presa a sopravvivere all'abbandono del marito, che si è messo con una amica della loro figlia, e che l'ha lasciata dicendole: "Vorrai mica che invecchi con te?".
Franco, il compagno di Sabina, attore di teatro duro e puro che alla fine si piega alle esigenze della quotidianità e accetta di recitare in un serial TV di ambiente medico, non sa andare oltre il piano consueto di un rapporto d'amore e convivenza.
Sabina decide allora di raggiungere il fratello Daniele in una piccola città degli U.S.A., dove egli insegna in quelle "incantevoli" realtà di campus universitari organizzati, ricchi di mezzi, libri, buoni rapporti sociali, case indipendenti con prato e giardino.
L'incontro sarà dirompente e decisivo: Sabina riuscirà a scuotere il rigido controllo in cui il fratello ha chiuso la sua sfera emotiva, sottoponendosi ad anni di analisi senza riuscire a liberarsi del tutto del trauma infantile, di cui rimane traccia nell'incapacità di abbracciare i propri figli nel terrore di ritrovare in quelle effusioni l'eco malata degli abbracci paterni, di ritrovare in sé le stigmate di una morbosità, di un "contagio" della depravazione.
Dal doloroso scavo nei ricordi infantili però i due fratelli porteranno alla luce non solo il grande affetto che li lega ma anche il senso di una famiglia che non hanno mai avuto: orfani e figli solo di se stessi, e per questo legati da un filo più profondo di quello "normale" tra fratelli, adulti senza infanzia eppure ancora bambini che l'infanzia dovranno viverla attraverso i loro figli.
Perché anche Sabina avrà un figlio da Franco, e lo chiamerà Daniele; e Daniele, nella scena finale, riuscirà finalmente ad abbracciare uno dei suoi due figli.
Il viaggio della vita quotidiana attraverso il dolore, la solitudine, la diversità.
La faticosa educazione alla vita e alla maturità.
Questo è il succo de "La bestia nel cuore", che a ben guardare non ha personaggi "minori", tra quelli femminili.
Non è una figura minore quella di Emilia, due volte diversa perché cieca e lesbica, che ama senza essere riamata Sabina e che trova la voglia di uscire dalla sua tana attraverso l'amore di Maria, donna concreta, pratica, forte ma ferita nel suo orgoglio, nelle sue certezze, dall'abbandono del marito per la solita sciaquina venti-trentenne; e Maria, a sua volta, nell'amore "diverso" di Emilia riscopre tenerezza, affetto, passione.
I personaggi maschili sono invece, salva la figura inquietante del padre di Sabina e Daniele, sfumati e sostanzialmente banali e stereotipati: Franco, il compagno di Sabina, che si ribella quando lei, in partenza per gli Stati Uniti, gli predice che la tradirà con la prima che "glielo fa rizzare", e in effetti si scopa una compagna di set; il regista del serial TV, che vagheggia un improbabile tenero film su due spazzini che ritrovano un bambino in un cassonetto e lo adottano.
Storia di dolore, solitudine, diversità, dicevo; e anche di speranza: le cicatrici, scrive Daniele a Sabina in una e-mail, restano ma bisogna imparare a vivere nonostante le cicatrici, lasciare che esse sbiadiscano, perdonarsi perché non si è colpevoli del male che si è ricevuto e di quello che non si è riusciti, nonostante tutti gli sforzi, a impedire.
Film bello anche nella tecnica, nei piani sequenza della casa dei genitori, abbandonata, coi mobili impolverati, tomba dei segreti inconfessabili della famiglia "normale", nella fotografia che vira su toni ora freddi ora caldi, nella recitazione intensa e così naturale di Giovanna Mezzogiorno (Sabina), Luigi Lo Cascio (Daniele), Stefania Rocca (Emilia), Angela Finocchiaro (Maria), nei simbolismi (la rottura delle acque di Sabina, in un vagone solitario nella campagna pugliese di una vacanza estiva, che nella sua mente è un fiume che travolge la casa famigliare e i suoi abitanti, spazzando via nel naufragio della famiglia quei legami inconfessabili e dolorosi).
Leggerò il romanzo.