venerdì, luglio 31, 2009

Da piazza Fontana ad oggi: le radici del disastro

Ho finito di leggere il "monumentale" saggio di Paolo Cucchiarelli dedicato a "Il segreto della strage", edito da Ponte alle Grazie, che fatica a conquistare posizioni nelle classifiche dei saggi più venduti.
Certo un libro di oltre seicento pagine, fitte di fatti, nomi, persone, ricostruzioni, ipotesi ragionate, non è, per sua natura, destinato ad un pubblico amplissimo di lettori; e l'argomento, ormai storicizzabile (dalla strage di Piazza Fontana sono passati ormai quarant'anni, l'anniversario cade il 12 dicembre 2009), richiede una conoscenza, più o meno diretta, del contesto storico, nazionale e internazionale, che non può richiedersi a chi abbia meno di cinquant'anni, e che dunque quegli anni dal 1969 in poi abbia se possibile vissuto in presa diretta.
Eppure il libro, magari in una edizione ridotta, meriterebbe di esser letto anche e sopratutto dai "giovani", se vogliono capire qualcosa dell'Italia in cui vivono, e del modo in cui la storia di questo paese è stata più volte risospinta sul terreno dell'arretratezza economica, politica, culturale, delle riforme mai fatte, della modernizzazione mai attuata, di come, insomma, un paese uscito distrutto dall guerra e che pur seppe risollevarsi con gli aiuti americani e la tenacia laboriosa del suo popolo, sia potuto approdare all'attuale stagnazione paludosa, con una classe politica vecchia, consunta, logora e inadeguata, con classi dirigenti incapaci e rapaci, con una società civile frammentata, litigiosa, priva di orizzonti ideali, in fondo conforme alla sua classe politica e alla sua classe dirigente nel verbalismo vacuo delle finte indignazioni, nell'ipocrita declinazione di inesistenti virtù pubbliche e di tangibili e incontenibili vizi privati che quelle vrtù pubbliche minano e corrompono.
Se Cucchiarelli ha ragione (e temo che abbia ragione) in fondo tutto nasce proprio da quella strage, dalla sua "doppiezza" (bombe anarchiche, che non avrebbero dovuto far morti, affiancate a bombe fasciste che, nella combinazione, produssero la strage), dalla conseguente inconfessabile verità e dalla fissazione di una verità di "comodo", accettata anche dalla sinistra storica ed extraparlamentare, che pure finì per offrire un alibi al terrorismo brigatista, dall'onda lunga del progetto di stabilizzazione autoritaria che costituiva il "core business" di piazza Fontana, che travolse anche Aldo Moro, dal successivo "accomodamento" dei governi di centrosinistra degli anni '80, con l'incapacità di avviare le riforme strutturali di cui il paese aveva bisogno, e quindi dal crollo del vecchio sistema dei partiti, con il tramonto dei regimi dell'Est, dalle "manovre" internazionali che certamente sostennero la "falsa" rivoluzione di tangentopoli, dalla riorganizzazione di un blocco moderato attorno a Berlusconi e dall'emersione di un partito territoriale che è riuscito a conquistare anche i c.d. ceti popolari, dal fallimento di una classe politica di governo di centrosinistra dominata ancora da figure vecchie e incapaci di concepire la politica altro che come gestione degli interessi, semmai in larga misura asservita agli interessi forti o addirittura direttamente partecipe di quegli interessi.
Le vicende pugliesi di questi ultimi mesi sono esemplari, nell'intreccio di vecchie furbizie politiche, populismi e caudillismi, mala sanità, mala politica, malaffare, che enfatiche declamazioni para-poetiche non riescono più ad addolcire e tanto meno a nascondere.
In poco più di un mese si è passati dalle acclamazioni frettolose di una "storica" vittoria, alle furibonde litigate sulla segreteria del PD, dalle improvvide dichiarazioni sulla Puglia come "laboratorio politico" (in cui la "grande idea" era d'imbarcare in maggioranza l'UDC casiniana, nelle sue varianti locali), alle sferzanti e ruvide parole sull'avventatezza di una inchiesta giudiziaria (le inchieste "non avventate" sono sempre quelle che riguardano gli altri, ovviamente), dalle dimenticate promesse di sciogliere il cumulo tra incarichi istituzionali e incarichi di partito alla rivendicazione del cumulo, come sia e purchessia, passando attraverso aperture a nuovi movimenti localistici che si propongono di costruire una sorta di Lega Sud trasversale, che sembra più che una coerente declinazione di un nuovo meridionalismo un tentativo di costruzione di un "nuovo notabilato" meridionale che possa giocare ancora un ruolo politico nazionale, naturalmente senza una vera idea di sviluppo del paese nel suo complesso, accettando il gioco leghista e rilanciandolo.
All'origine della "miseria" della politica attuale, di cui in fondo le "esuberanze" cavalieresche sono la parte pittoresca, non certo quella più rilevante e allarmante, stanno i fatti (e i non fatti) di quarant'anni fa, che hanno indirizzato in un certo modo la storia nazionale, in un modo che non si è saputo o voluto raddrizzare.
Ma il vero e risorgente pericolo di questa fase è che una classe politica declinante e percorsa a destra, al centro e a sinistra, da scandali di ogni tipo, cada una volta di più sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, lasciando che i soliti poteri "forti" s'incarichino di gestire un altro rinnovamento, che rischia di essere fittizio come quello seguito a tangentopoli, aprendo la strada ai soliti "tecnocrati" per una transizione che rischia poi di riconsegnare il paese a figure nuove confezionate ad hoc, in una spirale senza fine.
Cambiare tutto perché non cambi niente, secondo il vecchio insegnamento del principe di Salina.

sabato, luglio 18, 2009

Le nuove categorie della politica

La nuova "pasionaria" piddina, Deborah Serracchiani, ha sdoganato quale nuova categoria della politica la "simpatia" e la "antipatia".
Intendiamoci, sono pulsioni istintive, emotive, spesso inconsapevolmente sottintese a un ragionamento e ai rapporti sociali, dall'amicizia ai luoghi di lavoro, e forse possono spiegare, più e meglio di articolate analisi su sistemi di valori e progetti politici, l'avversione o l'adesione a un'idea quando essa s'incarna, come è quasi inevitabile, in un uomo-simbolo.
In fondo, grandi "antipatici" sono stati De Gasperi, Togliatti, Fanfani, La Malfa, Craxi, De Mita, Forlani, Scalfaro...; mentre invece grandi "simpatici" sono stati Pertini, Berlinguer, Nenni, anche Andreotti con le sue arguzie, e per venire ai giorni nostri, se vogliamo è anche sul crinale antipatia/simpatia che si situano Berlusconi in massima misura, e in parte più piccola Bossi e Di Pietro, mentre dalla parte degli antipatici stanno decisamente D'Alema, Tremonti, Gasparri, Quagliariello e via così.
Anche nel "ridotto" pugliese non può dirsi che la dicotomia non giochi il suo ruolo: Michelone Emiliano, con il suo corpaccione che ricorda la pubblicità della Ferrero ("gigante pensaci tu"), è certo simpatico, mentre è difficile che non sia antipatico Raffaele Fitto, per non dire di Simeone Di Cagno Abbrescia, mentre Nicki Vendola è un po' double face: può risultare simpatico o antipatico, secondo che affabuli di valori o ragioni di politica.
Però la categoria della simpatia non era sinora mai assurta a criterio obiettivato di scelta di un segretario di partito; non si era mai sentito che la giustificazione di una scelta di schieramento fosse riposta nell'istintiva pulsione di empatia che lascia presupporre un sentire comune (come è appunto la simpatia).
Quando la quarantenne d'assalto multipreferenziata ha dichiarato che sceglieva Franceschini perché simpatico, è stata quasi sommersa da una salva di fischi e contumelie; eppure, in fondo, ha espresso soltanto il punto dei vista dei "giovani", di quei giovani di cui tutti i partiti "liquidi" della seconda repubblica cercano d'intercettare i consensi, rivendendosi furbescamente il "giovanismo" come valore aggiunto, salvo a dare poco o nessuno spazio alle quote "verdi".
E' evidente che Franceschini è "simpatico", in questo senso, ben più che Bersani: con la sua zazzeretta da bravo ragazzo di college americano, le camicie con le maniche rimboccate sui polsi, l'aria informale, questo cinquantenne può rappresentare nell'immaginario giovanile qualcosa che ricorda, in piccolo s'intende, il fenomeno Obama, che tra i giovani, i blog, la rete, ha costruito la sua identità politica.
Bersani, al contrario, con la sua più che incipiente calvizie, i tratti netti, il curriculum piccino-pidiessino-diessino, l'appoggio dell'antipatico per eccellenza D'Alema, sembra emergere dal passato lontano e dal milieu delle sezioni di partito, delle cooperative rosse, delle case del popolo, delle olivetti lettera 82, dei vecchi ciclostili.
Sin qui non meno scandalo delle dichiarazioni della Serracchiani che interpreta, non so se ingenuamente o furbescamente, il ruolo di voce delle nuove generazioni, e quindi anche delle loro pulsioni pre-politiche, o a-politiche, l'idea di una politica fatta solo di emozioni, immagine, youtube, internet, facebook, concerti a seguire brevissimi comizi, incontri in comitati elettorali dove si beve a sbafo (non è accaduto anche a Bari?).
Dove però la Serracchiani è scivolata, in modo rovinoso, è nella sua ultima esternazione, in cui immagina e rivendica un partito democratico dove ci sia spazio per tutti, da Beppe Grillo alla Binetti.
La ragazza, in sostanza, vorrebbe un partito che sia come una di quelle scatole di cianfrusaglie da soffitta, dove si tiene un po' di tutto, dalle foto della scuola e delle gite scolastiche, a vecchie lettere d'amore, ad una fionda, alle biglie colorate, a qualche ingiallita tessera di movimenti giovanili.
Una scatola che ha valore più come contenitore che per il suo contenuto, che dovrebbe esser "ricca" solo perché contiene di tutto e di più.
Si dirà che anche il PdL è un partito-scatola, che dentro ci sono sia Tremonti, vicino alla Lega, che Cicchitto, ex socialista con tessera P2, sia Quagliariello, ex radicale, che Bondi, ex comunista, sia Pisanu (vecchio moroteo) che la Savino, la Carfagna e le altre "bellone" del Capo.
Verissimo, ma lì c'è qualcuno che, nel bene e nel male, porta la scatola, e lo sguardo corre a lui, non alla scatola, anzi la scatola ha un senso ed esiste come tale solo perché esiste il Grande Inscatolatore.
Nel Pd scatolare, invece, nella scatola, alla rinfusa, ci finirebbero tutti, ma proprio tutti, e siccome non c'è tanto spazio e ognuno ne vorrebbe uno minimo vitale, la scatola dalle fragilissime pareti alla fine cederebbe, come certe scatole da scarpe quando anziché un paio, ne vuoi fare entrare due.
L'idea, ingenua o forse furbesca, della Serracchia è così di conglobare nel PD tutte le pulsioni, da quelle populiste vero-finto-moraliste-indignate a quelle riformiste-idealiste, a quelle realiste-politiciste, a quelle ideologico-valoriali, nell'ambizione di voler rappresentare, "totalitariamente", tutti gli umori della società italiana.
In effetti, a ben guardare, è il modello vecchio del partito di massa e interclassista, cioé della vecchia DC o del PCI emiliano-romagnolo, che peò avevano il collante dell'ideologia, a rinforzare le pareti delle scatole.
Deborah Deborah, se questa è la tua idea della "nuova" forma partito, sei un po' più vecchia dei quarantanni che l'anagrafe certifica.