venerdì, aprile 07, 2006
La magia della condivisione
Ogni mattina esco presto per comprare i giornali ("La Gazzetta del Mezzogiorno", quotidiano locale, e "Il Corriere della Sera").
Le giornate, quando il sole è ancora basso, sono ancora piuttosto fredde e ora che è andata giù una parte degli edifici di Punta Perotti il cielo è più profondo, anche se si fa fatica a riabituarsi alla linea d'orizzonte e se quegli edifici erano, bene o male, parte del "paesaggio urbano".
Le città al mattino presto sono proprio un altro luogo: lo pensavo due giorni fa passando per piazza Trevi a Roma dove non sostava, come sempre, la solita chiassosa folla di turisti armati di videocamere e macchine fotografiche, scolaresche in gita, ministeriali sciamanti verso i ristorantini e gli snack bar per la pausa pranzo.
Fontana di Trevi è il luogo, secondo me, più suggestivo del centro di Roma perché ci vuole una follia visionaria formidabile per immaginarsi un palazzo che si trasforma in una monumentale fontana con una di quelle mutazioni che ora si fanno facilmente con la computer graphic (come i dinosauri di Jurassic Park o le astronavi aliene di Independence Day), ma allora bisognava metterci solo ingegno e arte sopraffina architettonica, ingegneristica e saperi artigiani che non esistono più.
Anche Bari, nel suo piccolo, riesce a essere quasi bella al mattino presto, col lungomare che guarda verso le tormentate sponde balcane e albanesi, l'orizzonte liquido su cui sorge il sole, l'aria pulita dai venti di maestrale, gli edifici liberty, i pochi ma essenziali giardini pubblici.
Quando ne ho voglia, rabbrividendo un po', solo soletto, percorro quel lungomare, sorpassato da jogging's girls e jogging's boys (magari qualcuno/a stagionatello, che mi fa un po' invidia essendo un irredimibile sedentario), attento a scansare i bisognini (che a volte sono bisognoni) dei cani (ebbene sì, questo popolo così educato al bello da inorridire allo scempio di Punta Perotti, non se ne impipa affatto di trasformare le strade della sua città in un sostanziale merdaio), coi giornali sotto il braccio.
In quel caso arrivo a un bar-pasticceria, che amo per ragioni solo mie, e consumo un espressino (solo qui si chiama così, a Roma e Napoli lo dicono "marocchino"), cioé un piccolo latte macchiato o un cappuccino ristretto, fate voi, e se sono particolarmente goloso anche una brioche.
Ma perché scrivo queste cose?
In questi quasi due mesi di esperienza come blogger, e avendo dato vita a un blog con pochissimi visitatori (salvo il fido Chris e Gerardo, è scomparso ad esempio Wile Coyote), mi son reso conto che il mio blog, come tanti altri, è veramente soltanto un diario, un modo di sfogare pensieri, emozioni, passioni, indignazioni.
Credo che la fortuna dei blog nasca dal bisogno di cercare di comunicarsi agli altri, di rompere il circuito dei nostri soliti, e per molti radi, rapporti umani, ma, fondamentalmente, dall'esigenza di condividere.
Condividere è qualcosa di così raro da sembrare, quando accade, quasi magico.
Condividere vuol dire aprire il proprio animo, lasciare che le altre persone ci diano uno sguardo. E se la cosa è transitiva, bilaterale, è l'essenza stessa della nostra umanità. Perché condividere significa anche che qualcun altro, una donna, un amico, ci lasciano entrare nella loro anima, che non chiudono a chiave i loro pensieri e le loro emozioni più profonde, meglio ancora che le vivono con noi quelle emozioni, che li formano con noi quei pensieri, che c'è uno scambio vero tra ragioni, sensibilità.
E' raro riuscire a condividere, così raro che quando accade diventa poi difficile farne a meno; e se per una ragione o l'altra viene a mancare la persona con cui questo esercizio riesce, l'alternativa a chiudersi nel solipsismo può essere il blog, che ti fa scoprire ad esempio che Gerardo è un vero romantico e ti assomiglia in tante cose, che Wile Coyote è un glorioso e nobile abitatore del deserto, che Chris è un crociato coraggioso che non si rassegna a come va questa Italia e questo mondo, che Luna non vive di luce riflessa ma emana una propria luce calda.
E' vero, ci sono persone insostituibili nella vita di ognuno. Ma è ancor più vero che siamo tutti insostituibili per qualcuno.
LA RICREAZIONE E' FINITA
Il silenzio elettorale, se sarà rispettato, dovrebbe servire a una sana pausa di riflessione. L'elettore, frastornato, dovrebbe poter raccogliere le idee, chiedersi cosa sia meglio votare, per se, per la sua famiglia, per il suo futuro.
E' stato detto, da Berlusconi, che si tratta di una scelta di civiltà, ma anche i "Nani Moretti", come chiamati da Max Tortora in una fantastica imitazione di Alberto Sordi, ci hanno messo tutto il proprio livore per disegnare un clima da Italia 1948 (la scena finale de "Il Caimano" con il popolo grasso forzitaliota golpista che reagisce con la violenza alla condanna giudiziaria del proprio signore e mentore).
The Economist ha ribadito, come cinque anni fa, che votare Berlusconi significa accentuare un declino italiano inguardabile.
Umberto Eco ha addirittura scritto un libro spiegando perché, se rivince Berlusconi, andrebbe in esilio volontario.
Berlusconi non vincerà. Forse non perderà in modo rovinoso, ma perderà.
Berlusconi perderà perché troppo ha promesso e poco mantenuto, perché si è dissolto il sogno che il suo miracolo aziendale potesse contagiare l'Italia, perché non ha avuto una classe dirigente seria, degna, preparata, perché non ha saputo ridurre e razionalizzare la spesa pubblica, perché non ha fatto alcuna vera liberalizzazione.
Prodi vincerà solo perché perderà Berlusconi e perché non c'è alternativa, almeno al momento, perché promette di rimettere al centro del metodo di governo una concertazione che vuol dire negoziazione tra interessi e centri di potere corporativi, perché i grandi gruppi industriali sanno che potranno chiedere e ottenere di più.
In ogni caso, la ricreazione della seconda repubblica volge al termine.
La vittoria di Prodi, o la sconfitta di Berlusconi, che è la stessa cosa ovviamente, non sarà larga, non risolverà i nodi strutturali del declino italiano, non risanerà con un colpo di bacchetta magica i problemi italiani.
Segnerà solo uno spartiacque, da cui dovrà iniziare, si spera, la fuoriuscita dall'anomalo decennio del bipolarismo bloccato, della reciproca legittimazione di un'alternanza il cui risultato complessivo è stato inadeguato alle esigenze di riforma effettiva e reale.
Il governo Prodi sarà probabilmente un nuovo governo Badoglio, servirà solo come interludio temporale verso una stagione di cambiamento, che dovrà caratterizzarsi, c'é da augurarselo, nel senso di una semplificazione dell'affollato panorama politico, il riassorbimento di cespugli e cespuglietti dell'una e dell'altra parte, l'emersione di tre soggetti politici nuovi, un partito moderato, uno democratico o progressista e un centro a mediarli e a costituire il perno delle alleanze future, risospingendo all'opposizione le ali estreme.
Il rinnovamento politico in Italia passa anche attraverso il declino, a questo punto più che auspicabile, delle figure che hanno interpretato questa transizione sin troppo lunga: Berlusconi, certo, ma anche Prodi.
E' stato detto, da Berlusconi, che si tratta di una scelta di civiltà, ma anche i "Nani Moretti", come chiamati da Max Tortora in una fantastica imitazione di Alberto Sordi, ci hanno messo tutto il proprio livore per disegnare un clima da Italia 1948 (la scena finale de "Il Caimano" con il popolo grasso forzitaliota golpista che reagisce con la violenza alla condanna giudiziaria del proprio signore e mentore).
The Economist ha ribadito, come cinque anni fa, che votare Berlusconi significa accentuare un declino italiano inguardabile.
Umberto Eco ha addirittura scritto un libro spiegando perché, se rivince Berlusconi, andrebbe in esilio volontario.
Berlusconi non vincerà. Forse non perderà in modo rovinoso, ma perderà.
Berlusconi perderà perché troppo ha promesso e poco mantenuto, perché si è dissolto il sogno che il suo miracolo aziendale potesse contagiare l'Italia, perché non ha avuto una classe dirigente seria, degna, preparata, perché non ha saputo ridurre e razionalizzare la spesa pubblica, perché non ha fatto alcuna vera liberalizzazione.
Prodi vincerà solo perché perderà Berlusconi e perché non c'è alternativa, almeno al momento, perché promette di rimettere al centro del metodo di governo una concertazione che vuol dire negoziazione tra interessi e centri di potere corporativi, perché i grandi gruppi industriali sanno che potranno chiedere e ottenere di più.
In ogni caso, la ricreazione della seconda repubblica volge al termine.
La vittoria di Prodi, o la sconfitta di Berlusconi, che è la stessa cosa ovviamente, non sarà larga, non risolverà i nodi strutturali del declino italiano, non risanerà con un colpo di bacchetta magica i problemi italiani.
Segnerà solo uno spartiacque, da cui dovrà iniziare, si spera, la fuoriuscita dall'anomalo decennio del bipolarismo bloccato, della reciproca legittimazione di un'alternanza il cui risultato complessivo è stato inadeguato alle esigenze di riforma effettiva e reale.
Il governo Prodi sarà probabilmente un nuovo governo Badoglio, servirà solo come interludio temporale verso una stagione di cambiamento, che dovrà caratterizzarsi, c'é da augurarselo, nel senso di una semplificazione dell'affollato panorama politico, il riassorbimento di cespugli e cespuglietti dell'una e dell'altra parte, l'emersione di tre soggetti politici nuovi, un partito moderato, uno democratico o progressista e un centro a mediarli e a costituire il perno delle alleanze future, risospingendo all'opposizione le ali estreme.
Il rinnovamento politico in Italia passa anche attraverso il declino, a questo punto più che auspicabile, delle figure che hanno interpretato questa transizione sin troppo lunga: Berlusconi, certo, ma anche Prodi.
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