Oggi e domani vanno giù le ultime "torri" di Punta Perotti. La "saracinesca", già in buona parte divelta dall'esplosione del 2 aprile, viene definitivamente abbassata e la vista di uno spicchio di cielo e orizzonte, aperto sul nulla di una periferia degradata, restituita ai baresi.
Difficile, anzi impossibile, che questa volta vi sia la folla della "prima", pochi i giornalisti accreditati nell'area stampa, Pecoraro Scanio sarà probabilmente altrove, a ritemprarsi dalle fatiche della campagna elettorale, i baresi che possono saranno andati fuori porta profittando del ponte del 25 aprile, il mare antistante non sarà un brulicare di barche, motoscafi, barchette e gommoni.
Eppure, sia pure rateizzato tra oggi e domani, lo spettacolo è all'ultimo atto. Anzi al penultimo, perché per la torre "Quistelli", che è distanziata dagli edifici dei Matarrese, in parallelo al mare (e quindi nulla centra con la saracinesca), ci vorrà almeno un altro mese: troppo vicina agli edifici del quartiere di Japigia sarà demolita con mezzi meccanici, tra cui una gru alta oltre quaranta metri che giungerà per ferrovia nei prossimi giorni.
Poi, sull'area, rimarrà un monumentale complesso di macerie che saranno sminuzzate, macinate, triturate, polverizzate, spianate, e che costituiranno il nuovo "piano di campagna" dei suoli.
La prima demolizione non ha portato molto bene alle sorti del centrosinistra barese: alle politiche del 9 e 10 aprile la CdL si è presa una clamorosa rivincita e la "primavera pugliese" del sindaco Emiliano, del presidente della Provincia Divella e del presidente della Regione Vendola ha conosciuto una innegabile "gelata".
Fatta eccezione per il tono trionfalistico del "Corriere del Mezzogiorno", emanazione locale del Corrierone di via Solferino, che era stato uno dei grandi "sponsor" mediatici dell'operazione, i baresi comuni, intervistati da "La Gazzetta del Mezzogiorno" e da televisioni locali, hanno manifestato dissenso e disagio per una demolizione vista come uno spreco di ricchezza e di opportunità.
Si fosse fatto un referendum consultivo sulla sorte di Punta Perotti, l'esito non sarebbe stato, sembra, così scontato.
Che Punta Perotti (i suoi scheletri incompleti) fosse brutto, nessuno lo discute; il punto era se, con opportuni interventi (il taglio di una parte del complesso, la riqualificazione urbanistica dell'area) se ne potesse fare qualcosa di utile alla città e magari anche alla regione, si potesse ammansire e ingentilire il c.d. ecomostro, renderlo un "monumento" positivo della legalità ripristinata.
E' curioso come gli intellettuali (ovviamente tutti di sinistra) della città e della regione, sempre così attenti alla cittadinanza attiva e ai diritti di partecipazione, non abbiamo sollecitato un referendum di questo tipo, quando per molto meno si invoca la consultazione della popolazione.
Evidentemente ci sono referendum consultivi e referendum consultivi: quelli dal risultato incerto e sgradito non s'hanno da fare, come il matrimonio dei protagonisti manzoniani.
Cosa resterà di Punta Perotti, a parte le cause di risarcimento da oltre 500 milioni di euro proposte dai Matarrese contro Comune di Bari e Regione Puglia?
Pare di certo un'opera collettanea di giovani registi, coordinati dal barese Piva (quello di "La capagira" e "Mio cognati", gran cerimoniere dell'intellettualità barese, che ha fatto scoprire al mondo il degrado di questa città levantina, su cui peraltro vari scrittori locali hanno costruito le loro (non piccole) fortune editoriali (anche queste targate RCS).
Giusto, la città doveva uscire dal suo provincialismo, contendere anche nel degrado il primato di Napoli, proporsi come il laboratorio socio-economico sul quale giocare la scommessa di una rinascita.
Una rinascita di cui, però, nessuno sembra cogliere l'inizio: più caotica, sporca, degradata nelle periferie e anche nel centro, abbandonata al suo crepuscolo pubblico da quelli che, storicamente, ne hanno fatto la fortuna (commercianti e imprenditori), con la squadra di calcio (appartenente ai Matarrese perché nessuno si fa avanti a rilevarla) che bordeggia nei bassifondi della serie B, periferia politica dopo esser stata con Moro, Lattanzio, Formica, una stella fissa del panorama politico nazionale (e nonostante gli sforzi di Max D'Alema, che qui ha subito una sonora sconfitta).
Poco da dire: ogni città esprime la classe dirigente che sa e può. Il declino di Bari è scritto nella pochezza della sua classe dirigente, dei suoi commercianti e professionisti ripiegati sulla cura dei propri interessi, della sua università sovrappopolata ma di poca "eccellenza", dei suoi intellettuali sospesi tra memorie della "ecole barisienne" e associazionismo snob, della imperversante provinciale autoreferenzialità.
Sipario.