domenica, aprile 30, 2006
Rose and Jack
Le cose non accadono mai per caso.
Stamattina, quando ho "postato" l'ultimo commento sulle elezioni dei presidenti delle camere, l'ho intitolato al "Titanic" e l'ho accompagnato con una bella immagine del transatlantico più famoso e sfortunato della storia.
In realtà avevo in testa un servizio, letto su "Io donna" allegato al Corsera di ieri, dedicato a Kate Winslet.
Kate Winslet è l'attrice che ha dato corpo e vita al personaggio di Rose, la protagonista del "Titanic" di James Cameron.
Confesso che quando "Titanic" uscì nelle sale, anni orsono, mi rifiutai di andarlo a vedere.
In effetti, vado poco a cinema, e sopratutto quasi mai a vedere i film di cui tutti parlano mentre se ne parla, e proprio forse perché se ne parla.
Pigrizia, snobismo? L'una e l'altro.
Nel caso di "Titanic" poi le notizie di frotte di ragazzine adolescenti che lo rivedevano quattro-cinque volte di seguito, inzuppando montagne di fazzolettini di carta e sospirando a ogni inquadratura di Leonardo Di Caprio (bello avere, almeno, il suo stesso nome!), mi davano i brividi.
Confondermi con quelle pischelle tenerone, magari con le loro camerette zeppe di posters di "Titanic"? Giammai!
Ho visto poi "Titanic" a distanza di qualche tempo, in un cinema estivo di Rosa Marina, villaggio turistico sulla marina di Ostuni, in una serata stellata di agosto.
Mi è piaciuto, tantissimo. Di più. Mi ha commosso, profondamente.
E così, mica poi tanto diverso dalle adolescenti lacrimose, l'ho rivisto in TV quasi a ogni passaggio; e se capita lo rivedo ancora.
Cosa c'è in questo film che riesce a incantarmi?
A prima lettura, in fondo, è niente più e niente meno di un kolossal fumettone americano, con grande dispendio di mezzi ed effetti speciali.
Vero, ma dipende con quali occhi lo si guarda.
Un film ha tanti piani di lettura, e più lo vedi più, come in una scansione, li scopri uno a uno.
Il primo strato è quello del kolossal, certo, e se ti fermi a questo lo archivi come un esempio, di quelli buoni, della colossale macchina produttiva americana, commenti "gli americani li sanno fare 'sti film, e ci hanno pure i mezzi" e finisce li.
Poi, però, se lo rivedi e ci pensi su ti accorgi che c'è qualcosa di più.
Una grande, bella, commovente storia d'amore, anzitutto, fresca, intensa, palpitante, che si brucia in una notte stellata, l'ultima del "Titanic".
Una storia impossibile, come tutte le grandi storie d'amore, tra un vagabondo col genio del disegno, Jack, e una rampolla di una decaduta famiglia inglese, Rose, costretta a promettersi a un giovane squalo del mondo degli affari americano, ricco, ignorante, possessivo, volgare.
Rose è una giovane splendida donna, assetata di vita, di bellezza, di esperienze, di verità, che non disdegna di ballare in terza classe, che vuole imparare a sputare come un uomo, che vuole andare a cavallo a gambe larghe come un uomo.
La vera protagonista di "Titanic" è Rose, il suo coraggio di ribellarsi ai ruoli, ai copioni di vita scritti da altri.
Kate Winslet è una Rose magnifica. E' bella ma non perfetta, il viso un po' lungo dagli occhi chiari ma non chiarissimi, le forme piene e rotonde.
Rose ha la magia della femminilità, quando la femminilità diventa magia, ciò che non accade poi così spesso (nessun paragone con la pur perfetta Angelina Jolie o con le altre dello star's system, compresa Nicole Kidman, bellissima ma algida)-
Rose riempie lo schermo e incarna quell'impasto miracoloso che solo alcune donne possiedono.
Per dare un'idea di quello che intendo, devo citarmi. Ho scritto un romanzo "Elogio di Pompeo" e la unica donna del romanzo si chiama Adriana; ebbene per capire cosa è una donna che ha la magia della femminilità leggete queste brevi righe:
"Lui sapeva tutto ciò e ne era comunque irretito e prigioniero, perché quegli occhi azzurri screziati di giallo, che conoscevano ogni arte spontanea dell’astuzia femminile, la malizia, la lussuria, la pudicizia, la tenerezza, lo smarrimento, la comprensione, la pietà, gli si erano ficcati nell’anima e non avrebbero mai mollato la presa".
Malizia, lussuria, pudicizia, tenerezza, smarrirmento, comprensione, pietà.
Se negli occhi di una donna c'è tutto questo, c'è la magia della femminilità.
Rose, in "Titanic", ne ha in abbondanza di tutto.
E' per questa magia che il suo arrogante fidanzato si strugge comprendendo come Rose non lo ami e non lo amerà mai, qualsiasi cosa lui faccia, per quanto possa regalarle il mondo.
E Jack che è un povero squattrinato è invece riamato perché a sua volta è giovane, vivo, fremente, generoso, romantico, e sa offrire a Rose qualcosa di più prezioso del diamante blu, l'utopia della libertà e della felicità.
Rose è Rose e non una qualsiasi ragazzuola che civetta a bordo del "Titanic" perché accetta la sfida di essere felice contro tutto e tutti, contro le regole, le convenzioni, d'inseguire il sogno, di farlo vivere tra i corridoi del transatlantico, nella stiva dove sono le poche lussuosissime automobili, a bordo proprio dell'auto del suo fidanzato, coi finestrini che si appannano per le effusioni amorose dei due giovani, sul ponte della nave dove cadono i pezzi dell'iceberg appena urtato, mentre le luci si spengono e la grande nave si spezza in due, prima che la prua trascini la poppa verso gli abissi, nelle acque gelide dove Jack le muore vicino assiderato avendole lasciato un relitto per salvarla.
E questo è un secondo piano di lettura del film, per me bellissimo perché pieno di grandezza, semplicità e verità.
C'è poi il terzo piano, comune anche alle altre versioni cinematografiche del "Titanic", quello della grande tragedia collettiva, dei destini che si intrecciano a bordo della nave immensa, data per "inaffondabile", che è la trasparente metafora di un mondo, quello del secolo lungo (l'ottocento, l'età degli imperi, del positivismo, del progresso) che va in mille pezzi perché arriva la guerra, la Grande guerra, quella del 1914-1918 che inaugura il "secolo breve".
Il Titanic è la rappresentazione del mondo e della società, con le sue classi, ai piani alti e ai piani bassi, i suoi splendori effimeri, le sue miserie durevoli, i suoi atti di coraggio sovrumano, le sue infime viltà.
Il film di Cameron lo racconta abbastanza bene, tratteggiando le figure minori, dal progettista, inebetito dalla rapidità con cui la nave affonda (e affonda perché la White Star, società armatrice, ha voluto risparmiare sui materiali e le rivettature), al capitano che, al suo ultimo viaggio, ha ceduto all'orgoglio di stabilire il record di velocità della traversata atlantica, e chiuso nel suo orgoglio affronta dalla tolda l'inabissamento, al laido rappresentante della società armatrice che sarà tra i primi a mettersi in salvo (altro che prima le donne e i bambini).
Vedete quante cose possono leggersi in un film che all'apparenza è un polpettone?
Tornando a Kate Winslet, dirò anche che ho appreso dal servizio di "Io donna" che è sposata con un altro dei miei miti, il regista Sam Mendes, quello di "American beauty" ed "Era mio padre" ("Road to perdition"), film che amo entrambi, e sopratutto il secondo che, come "Titanic", rivedo a ogni passaggio televisivo.
Sarà stupido, ma la cosa mi ha fatto piacere, come se trovassi l'intreccio di quelle due persone, l'attrice e il regista, qualcosa di naturale, logico, una complementarietà necessaria, del tipo di quelle che ho evocato in altri "post".
Mica per caso ho scelto più volte l'immagine del bambino di "Era mio padre", e ne ho fatto la mia "card" di MSN Messanger.
Quando dico che gli ultimi romantici guardano il mondo con gli occhi di un bambino, penso a quel bambino, e in quello sguardo mi riconosco del tutto.
Sono occhi aperti sul mondo, capaci di meraviglia e di sogni. Siamo noi adulti che li sporchiamo quegli occhi, e davvero questo è il più grande delitto. Come è un delitto perdere quello sguardo.
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