Dario Franceschini ha scoperto la variante neomediatica e gossippara della "questione morale", cercando di aggiornarne i termini e adeguarli agli scenari della c.d. seconda Repubblica, e riuscendo piuttosto ad appiattirli nei termini dell'unica e ultratrentennale "La Repubblica".
Le dichiarazioni di ieri, del senso "Mamme, affidereste i vostri figli a un uomo così?", sottilmente evocative degli spettri che oltre due anni fa si agitarono tra le aule dell'asilo di Rignano Flaminio, piuttosto che degli scenari di "Lolita" di Nabokov, sono state francamente, "franceschinamente", infelici.
La risposta dei figli che già sono stati affidati, storicamente e naturaliter, all'uomo "così", ossia ai figli veri, concreti, legittimi del Cav. è stata immediata, forte, e anche dignitosa: e se i figli veri di un uomo "così" lo difendono all'unisono, forse le mamme d'Italia più che allarmate dall'interrogativa retorica di Franceschini sono uscite rassicurare dalle risposte della stirpe berlusconiana.
Nel frattempo è fallito anche il tentativo di tirar per la tonaca la Conferenza episcopale italiana a pronunciarsi sul merito della questione: perché è vero che l'Avvenire, a proposito del divorzio Berlusconi-Lario, ebbe a invitare il premier a maggior sobrietà, ma di qui a pronunciare pubblico interdetto su un supposto (sino a prova provata contraria) corruttore di minorenni ce ne corre.
E la Chiesa e i suoi Vescovi, che hanno esperienza bimillenaria e traguardano le cose di questo mondo con una lente rovesciata perché, in ogni caso, devono guardare più da vicino profili trascendenti, e alla luce di quelli cercare di esercitare il proprio magistero, non potevano trasformarsi in agenzia di certificazione di qualità di una questioncina morale a evidenti fini elettorali.
Franceschini, in piena ebbrezza elettorale e forse davvero convinto d'essere non un semplice "pilota di porto" per condurre la malconcia nave democratica verso un congresso ma addirittura un possibile comandante di quel vascello, ha pensato bene di giocare sino in fondo una partita aggressiva, all'americana, senza ricordare che in quella società, imbevuta di valori protestanti (che sono la vera etica del capitalismo), il giudizio morale sui comportamenti privati dei policiti conta davvero, in questa, invece, che è cattolica, il confine tra etica pubblica e morale individuale è ben più netto e marcato, e i peccati privati si lavano in confessionale e non in pubblici lavacri parlamentari, di stampa, mediatici.
Piaccia o non piaccia questa è l'Italia e questa la sua "tradizione".
E Franceschini non avrebbe dovuto dimenticarlo, poiché nel suo partito d'origine su molti vizi "privati" di eminenti esponenti era steso un velo spesso e oscuro, che giammai il PCI, il PSI o alcuna delle forze politiche di sinistra (e anche di destra a dire il vero) avrebbero pensato di sollevare, e non solo per questioni di stile, ma perché quel confine era chiaro e invalicabile.
Nemmeno Di Pietro, che pure ha il copiright dell'antiberlusconismo, ma che nella sua furbizia di prossime ascendenze contadine molisane è ben più sveglio e accorto, ha ritenuto di varcare quel confine (peraltro lui pure sposato due volte e con qualche frequentazione di soubrette: ai tempi in cui era Ministro delle infrastrutture è noto che per le stanze del dicastero di Porta Pia circolava l'Elona Weber).
Invece Franceschini, col suo faccino di bambino un po' invecchiato, il suo taglio di capelli da caposquadra dell'Agesci, il suo bonario accento emiliano, s'è dimenticato di tutta la tradizione sapienzale della vecchia DC, di cui si è nutrito assieme al latte materno, ed è andato fuori dal seminato (e dal seminario!).
E' proprio vero, allora, che i migliori amici del Cav. sono i suoi nemici, e che, come ripeteva Don Vito Corleone al giovane Michael insegnandogli i fondamenti del mestiere di padrino, i nemici bisogna tenerseli stretti, ben più degli amici.
Insomma il PD scopre oggi amaramente che più che a Franceschini si è affidato a Franceschiello, che fece la fine che sappiamo.