venerdì, aprile 24, 2009

BERLUSCONI NON E' UN PIRLA

Il "popolo" della sinistra ricopre di insulti e sberleffi Berlusconi a ogni sua uscita e dichiarazione.
Il gioco del Cav. è chiaro: rimanere sempre e comunque, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, al centro della scena politico-mediatica nazionale, e stare il più possibile su quella internazionale.
Ed è un gioco che gli riesce benissimo, grazie anche alla dabbenaggine di chi ne rilancia con insoffocata indignazione ogni battuta e inferocisce a ogni sua pretesa gaffe.
Epperò.
Le ultime due "uscite" di Berlusconi sono politicamente geniali, e solo se non si ha un minimo di lucida obiettività (l'odio ottunge l'intelligenza) si può reagire come si vede da molti blog e da facebook, con furibonde bordate di fischi e lazzi.
Berlusconi dunque dopo anni d'indifferenza celebra il 25 aprile e lo fa non nelle piazze e strade romane, milanesi, bolognesi, torinesi, nei cortei pieni di gagliardetti dell'ANPI e bandiere più o meno rosse, rosee, rosa pallido, con qualche tricolore; ma precisamente ad Onna, paese simbolo del terremoto abruzzese, cittadina che scontò un "piccolo" eccidio di civili ad opera di un reparto nazista, in uno dei tanti episodi "minori" rispetto ai grandi eccidi di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzena, le Fosse Ardeatine.
Sarà lì, tra le tende apprestate per i poveri superstiti del sisma, tra quel popolo minuto che qualche tempo fa, su FB, forse senza nemmeno intenzione malevola, anzi sono sicuro senza nessuna intenzione malevola (e questo forse è peggio) ho sentito chiamare "popolino"; quel popolino così sensibile e così facilmente suggestionabile a gesti di prossimità e attenzione, pronto a commuoversi alle storie di "Pronto Raffaella", che vede le serie televisive su carabinieri, poliziotti, guardia di finanza, guardia costiere, forestale..., che magari riesce a divertirsi con le battute della compagnia del Bagaglino, che segue ogni sabato "La Corrida" dai tempi di Corrado e ora con il suo erede Gerry Scotti, che si appassiona a "Verissimo"...
Quasi nelle stesse ore Berlusconi, spiazzando tutti, persino i suoi ministri, decide che il vertice del G8 si farà proprio in Abruzzo e non in una blindatissima località sarda, ottenendo un triplice obiettivo: richiamare ancor più l'attenzione dei media internazionali sull'evento, portando i "Grandi" della Terra tra gli umili e semplici in una regione martoriata dal terremoto e additando a essi le qualità di fierezza, orgoglio, coraggio, tenacia degli abruzzesi, e per traslato degli italiani; risparmiare un bel gruzzolo di milioni e milioni di euro, quanti ne erano necessari per apprestare il vertice sardo, che potranno confluire nei fondi per la ricostruzione; azzerare il rischio di manifestazioni e proteste NO GLOBAL perché anche il più scalmanato di essi (a parte la difficoltà di arrivare in Abruzzo e di muoversi tra macerie e tendopoli) non potrà pensare di turbare un vertice che avvicina i potenti della terra agli ultimi e miseri o pensare di aggiungere ai tanti travagli della popolazione abbruzzese anche il casino di cortei, tute bianche, tute nere, cassonetti incendiati.
Certo, vi è demagogia, populismo, leaderismo carismatico in tutte queste scelte.
Ma sono scelte che il "popolino" sente e condivide e che cementano un sentimento di maggiore vicinanza di Berlusconi ai suoi sentimenti e ai suoi umori, e che si ispirano a una concretezza del fare che in una nazione intossicata di parole, analisi, misure in cui, parole logore come "grande sfida", "grande occasione", "risposte adeguate alla complessità dei problemi", o slogan ormai pressocché dimenticati e miseramente falliti come "I Care", "Si può fare"(brutta e patetica traduzione letterale del "Yes, We can" obamiano), per non dire dei patetici "Io C'entro" casiniani.
Il mondo reale non è la piazza virtuale dei blog e di facebook dove ritrovarsi e rassicurarsi vicendevolmente come vecchi amici di una fotografia o di una comitiva dispersi nelle mille strade dei percorsi individuali, familiari e sociali sull'identità, il nocciolo duro, il siamo sempre gli stessi, l'orgoglio dei vecchi simboli politici.
E' fuori, tra le macerie, nei mille paesi dell'appennino, tra le case del "popolino" di cui noi borghesi professionisti o burocrati, intellettuali, frequentatori di blog e facebook non abbiamo forse nemmeno una vera idea, troppo impegnati ad autocelebrarci come elite intellettuale e morale di questa nazione, tra un incontro in libreria per la presentazione dell'ultimo libro di grido o di semplice moda e un caffé para-letterario.
Trenta, quaranta anni fa la sinistra era di popolo, nel popolo, per il popolo; oggi è nei salotti, nelle librerie, negli assessorati, nelle cene sociali.
Meditate gente, meditate