lunedì, luglio 28, 2008

A CASA NOSTRA


Francesca non è Cristina (Comencini) e "A casa nostra" non è "La bestia nel cuore".

Scontata la differenza inevitabile, "A casa nostra", per quanto sia un film irrisolto, troppo abbozzato in alcune parti, giocato sull'abusata struttura dell'incrociare i fili di tanti destinim che alla fine si legano l'uno all'altro, in qualche modo, va visto.

Perché c'è uno spaccato dell'Italia dei tempi nostri, dei suoi "eroi" positivi (che però tali sono sempre in chiaro scuro e mai in piena luce) e negativi (il cui cinismo e il cui saper fare è però sempre un po' cialtrone, il male serio è una cosa ben più seria).

La storia principale è quella di un banchiere senza scrupoli (Luca Zingaretti), che ha sposato una donna ricca e ormai sfiorita segnata dalla perdita del loro unico figlio in tenera età, cui con tenacia, e con le solite intercettazioni telefoniche e ambientali, da la caccia una giovane capitano della guardia di finanza (Valeria Golino).

Il banchiere ha una amante (Laura Chiatti), modella insoddisfatta, cocainomane, che per punirlo di averla fatta abortire va con un altro qualsiasi, un giovane commesso di un ipermercato (Gerry).

Sodomizzata e lasciata la ragazza, il banchiere e i suoi tirapiedi assoldano Gerry come corriere delle tangenti verso un politico (Bebo Storti, il conte Ugucione di Mai dire Goal), che fa da tramite verso mondi finanziari dell'est europeo.

Uno di quei pescecani dell'est europeo mette in contatto il mondo patinato del banchiere con quello sordido di un magnaccia rumeno, una delle cui puttane è stata ferita a morte in una rapina da strada e che viene tenuta in vita solo per partorire un bambino che ha in grembo.

Il banchiere, per rivitalizzare la spenta moglie, pensa di regalarle quel bambino, dichiarandosene padre, ma gli va male perché la sorella della prostituta e un amico che avrebbe voluto conviverci si mettono di mezzo e gli impediscono di portarsi via il neonato sulla base di una semplice e ovviamente falsa dichiarazione di esserne il padre naturale.

Nell'ultima scena del film compaiono tutti i protagonisti: mentre il banchiere va via stizzito dall'ospedale, la intrepida capitana della g.d.f. fa arrestare Gerry davanti agli occhi della sua inconsapevole moglie e del giovane ma riottoso amante della stessa capitana, che è andato col padre professore pensionato collezionista di libri rari (che vende poco a poco per pagare i debiti) a riprendere dall'ospedale la madre sofferente di cuore.

Un film irrisolto quindi: né un giallo poliziesco all'italiana, né una storia compiuta di sentimenti, né un credibile affresco corale sulla miseria morale della società italiana.

Un po' di questo, un po' di quello.

Ma insomma una sintesi di filoni cinematografici che riesce comunque a restituire l'ìmmagine inquietante di una società italiana depressa, percorsa da solitudini, priva di un senso comune, in una Milano più disperata e disincantata che grigia.

Forse l'Italia oggi si può raccontare solo così, nella frantumazione di esistenze prive di orizzonti e finalità, dove il senso del dovere è anche il frutto di frustrazioni esistenziali (la capitana vorrebbe metter su famiglia e fare un figlio con suo giovane e sfuggente amante, e come le rinfaccia il banchiere è una donna sola) e dove l'affarismo finanziario para-delinquenziale o francamente delinquenziale è a sua volta fuga e impossibile rivincita sulla felicità che il denaro non può comprare; e dove il sogno di un'esistenza più dignitosa s'infrange, per la puttana rumena, nelle marchette da strada e, per il commesso, pesce piccolo sacrificabile, nella bruciante esperienza di un breve benessere pagato con la galera e la perdita dell'amore della moglie.

A casa nostra ci sta tutto questo, e ancora altro.