lunedì, settembre 04, 2006
Un minuto di silenzio per il calcio nel pallone
In questi giorni sto finendo di leggere un bellissimo libro di Oliviero Beha "Indagine sul calcio", che racconta le trasformazioni dell'ambiente e del fenomeno calcistico dai Mondiali di Spagna del 1982 sino alle soglie del Mondiali di Germania 2006.
Il volume non si occupa delle ultimissime vicende di "calciopoli", ma costituisce un contributo indispensabile per chiunque voglia comprendere come e perché il calcio è finito "nel pallone".
Dalle vecchie e nuove sudditanze arbitrali, a un panorama dirigenziale chiuso e autoreferenziale, ai guasti della sentenza "Bosman" che liberalizzò il trasferimento dei calciatori, alla televisivizzazione del calcio, ai diritti televisivi, ai doping farmacologici e sportivi, ai troppi quattrini guadagnati in modo rapido e spregiudicato, tutta la parabola (discendente) dei valori sportivi è analizzata in modo rigoroso e documentato.
E mentre è stata evitata, si potrebbe dire in zona Cesarini, l'ennesima puntata del rapporto ormai sempre più stretto tra calcio e giustizia (ordinaria e non solo sportiva), nell'incapacità dell'ambiente di autoriformarsi in tempo, e mentre l'attualità, purtroppo politica e non solo calcistica, sbiadisce il pur fresco ricordo della conquista del campionato del mondo, arriva oggi una notizia triste, triste, triste, come la canzone di uno sfortunato Ivan Graziani ("Firenze: canzone triste"), pure lui scomparso in modo molto prematuro.
Giacinto Facchetti, capitano dell'Inter e della Nazionale, già dirigente e da ultimo presidente dell'Inter, ha lasciato questa terra proprio oggi, stroncato da un tumore aggressivo e veloce, più veloce delle sue mitiche discese sulla fascia, quando inventò, prima di Sacchi, del sacchismo, di Capello, del capellismo, e dei tanti mega-allenatori superpagati del calcio moderno, la figura del terzino "fluidificante" (ora si dice e fa più fino, difensore esterno.
Facchetti aveva il viso pulito e bello dei ragazzi del '42 coi capelli corti, senza le mirabilie muscolari degli ultimi vent'anni ma col fisico asciutto e integro del vero atleta; aveva l'eleganza del tocco di palla, la velocità del cursore, il colpo di testa, e soprattutto la lealtà del difensore che non giocava a "spezzare le gambe", non faceva "falli da dietro", non mulinava gomiti e pugni, in un tempo in cui non c'erano le moviole né la prova televisiva e si poteva star certi di farla quasi sempre franca.
Come nelle grandi coppie del cinema (Stanlio e Ollio, Gianni e Pinotto, Totò e Peppino, Jerry Lewis e Dean Martin...) aveva un compagno fedele, il roccioso Tarcisio Burgnich, friulano scolpito nella pietra, con cui formava la coppia di terzini meglio assortita che si sia mai vista; quanto il primo era elegante, un vero fenicottero dalle gambe lunghissime, l'altro era sodo e magari anche sgraziato, ma quasi insormontabile (lo sormontò Pelé nel primo gol della quaterna rimediata in finale nel mondiale del '70, ma era Pelé, mica un Klose qualsiasi).
Fa male pensare che ancora qualche settimana fa, quando era già malato (e la notizia non doveva essere impenetrabile nel mondo calcistico), il solito Moggi lo abbia chiamato in ballo (da che pulpito) cercando di sporcarne l'immagine con le allusioni a "passaportopoli" e alla vicenda di Recoba.
Ma questo è il calcio di oggi, queste le figure e mezze figure, questi gli "uomini" (?!?), anche se nei "coccodrilli" dei giornali non si troverà nessuno che non si sciolga in lacrime, commozione e rimpianto per il "grande campione del calcio e della vita" che non calca più il campo della vita.
Io sono interista, ma questo non c'entra con il rimpianto per Giacinto Facchetti: la mia generazione era troppo piccola per ricordare in modo nitido la grande Inter di Angelo Moratti, ma non per non ricordare Facchetti (e Burgnich, e Mazzola, e Rivera, e Riva, e De Sisti, e tanti altri di quei mondiali di "Messico e nuvole") come alfieri di un calcio poco televisivo eppure così emozionante, in bianco e nero, senza muscolature poderose, senza sponsor, persino senza il nome dei giocatori sulle maglie; di un calcio di stadi affollati (quanti ricordi nel vecchio stadio della Vittoria di Bari, pieno zeppo all'inverosimile anche in serie C, e quanta malinconia per gli spalti semivuoti del San Nicola), di partite vissute attraverso i mitici radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto, con Enrico Ameri che dirigeva le danze dal "campo principale", contendendosi il palcoscenico sonoro con Sandro Ciotti ("Scusa Ameri...Scusa Ciotti...) in una rivalità sana e pulita d'altri tempi e ciascuno con i suoi tempi di radiocronaca (preciso, nitido, chiaro, essenziale Ameri, ruvido, immaginifico, rauco, passionale Ciotti).
Ecco. Sarà che sono anzianotto, ma è questo il calcio che mi manca.
E di questo calcio Facchetti era uno degli emblemi, il più bello, elegante, rassicurante.
Caro Giacinto, che la terra ti sia lieve.
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