martedì, aprile 25, 2006

LA STRATEGIA QAEDISTA


L'attentato di ieri sera a Dahab, nel Mar Rosso, è stato commentato, a "botto caldo" da qualcuno con la solita litania che esso è l'ennesima conseguenza della guerra in Iraq.
L'idea che la madre di tutti gli attentati sia la guerra in Iraq è stupida, prima ancora che fuorviante; e non solo perché prima della guerra in Iraq c'è stato l'11 settembre e ancora prima altri attentati devastanti.
La strategia qaedista ha un disegno ben più complesso e ambizioso, e per capirlo basta guardare una cartina geografica del medio oriente.
In senso antiorario si allineano vari Stati: l'Egitto, con la sua propaggine del Sinai che si protende nel Mar Rosso, e a sud il Sudan, e dall'altro lato del Mar Rosso la penisola arabica, con il regno saudita e lo Yemen e tutti gli emirati dall'altro lato, e poi l'Iraq, e a nord la Siria e la Giordania.
Una tenaglia geografica stretta attorno a quella piccola "arachide" che è lo Stato di Israele, unico non musulmano dell'intera regione mediorientale, necessario e tradizionale alleato dell'Occidente, unica democrazia dell'area, unica potenza atomica dell'area, unico del tutto privo di petrolio.
Il "fantasma" Bin Laden nel suo ultimo audiomessaggio, trasmesso dai "fiancheggiatori" di Al Jazeera, non parla per caso del "Califfato" di Bagdad, né per caso cerca di mettere il cappello sull'irredentismo palestinese, e mentre critica l'Occidente che non da ad Hamas quei quattrini che hanno costituito il sostegno della satrapia di Yasser Arafat (malanima) e dell'Autorità Nazionale Palestinese, parla ai dissidenti jiadisti palestinesi, ai suoi infiltrati qaedisti a Gaza City, alle masse povere e ignoranti dei paesi musulmani dell'area mediorientale, che nell'Islam trovano l'unico vero collante, l'unica identità possibile dopo il fallimento del sogno socialista nasseriano, l'unica arma in grado di condizionare i governi dittatoriali o autoritari di quella sfortunata regione della terra.
Non è un caso se Bin Laden cerca di evocare l'orgoglio islamico richiamando la caduta dell'Impero ottomano, e fa nulla se gli ottomani o turcomanni nulla c'entrassero etnicamente e linguisticamente con gli arabi e con la culla dell'Islam, perché il sogno o incubo ladeniano è la restaurazione di un Califfato, che si estenda dalla Turchia almeno sino all'Egitto e faccia un sol boccone di Israele.
Un Califfato ricco di petrolio (come mai il prezzo del petrolio sale, sale, sale: proprio sicuri che sia solo un gioco di domanda e offerta, e che la colpa sia delle tigri asiatiche che ne succhiano sempre più, facendo schizzare i prezzi alle stelle???), ricco di tecnologie, ricco di armi, sperabilmente anche nucleari.
Un Califfato che possa proporsi come potenza politica mondiale, negoziare, condizionare, ricattare l'Occidente, con teste di ponte nell'Europa fragile politicamente, per sue divisioni interne, ed economicamente, per la sfida globale delle tigri asiatiche da un lato e dei paesi latino-americano (Brasile in testa) dall'altro.
Ci si affanna da parte dell'Occidente a negare che sia in atto una guerra di civiltà: infatti, è in atto la quarta guerra mondiale, in cui un pugno di terroristi ben determinati e di satrapie mediorientali costrette, col ricatto e per mantenere il proprio potere, a finanziarli, tengono luogo di eserciti, armate e divisioni, in attesa di una sollevazione più o meno generale delle masse islamiche che rovesci quei governi e li sostituisca con sceicchi locali e teocrazie diffuse.
In questa guerra, ovviamente, e direi per fortuna, l'Islam non è compatto, e non tanto per l'influenza, tutta da dimostrare, del c.d. Islam moderato, quanto per la spaccatura religiosa e dottrinale che attraversa sunniti e sciiti.
In questa chiave l'audiomessaggio di Bin Laden può essere letto anche come una risposta al movimentismo dell'attuale leadership iraniana, che cerca di rompere l'isolamento e di accampare mire egemoniche sull'irredentismo palestinese: al "Califfo" non piace evidentemente la concorrenza, e men che meno quella degli sciiti, essendo lui un wahabita duro e puro, che odia gli sciiti forse più di quanto odi gli stessi americani e gli occidentali.
Forse, sotto questo riguardo, sarebbe il caso di ripensare non tanto all'Iraq, dove in fondo accade solo che la maggioranza sciita rivendichi i suoi diritti dopo esser stata calpestata e oppressa dalla minoranza sunnita, quanto all'Iran e a come un grande paese sciita possa svolgere un ruolo di freno proprio alla strategia qaedista.
Certo è difficile discutere con la teocrazia iraniana, ma questa potrebbe avere, paradossalmente, interessi convergenti perché alla lunga ove emergesse una situazione di egemonia sunnita nella regione sarebbe destinata a essere schiacciata.
Riuscirà l'Occidente, e quindi USA e UE, a guardare con un minimo di lucida consapevolezza al futuro del medioriente, e quindi al proprio futuro?

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