sabato, aprile 07, 2007

ARRIVEDERCI AMORE CIAO

Ho visto il film "Arrivederci amore ciao" di Michele Soavi, tratto da un romanzo di Massimo Carlotto, e sto finendo di leggere un libro intitolato "Il libro nero delle Brigate Rosse" edito dalla Newton Compton.
Non ci potrebbe essere niente di più diverso tra il film (e il romanzo di Carlotto) e il saggio "economico" sulla storia delle BR.
Il film racconta, con buona cifra narrativa e fotografica, di un ex terrorista alla ricerca spietata della "normalità" e "rispettabilità", perseguita attraverso delitti lucidi, togliendo di mezzo, volta a volta, chiunque si opponga all'agognata riabilitazione, sino al delitto più lurido e sporco, quello della giovane moglie, testimone indiretta e inquieta dell'omicidio del poliziotto corrotto che per anni ha ricattato l'ex terrorista, combinando con lui anche una sanguinosa rapina con quattro sbandati (due ex ustascia e due anarchici spagnoli), ammazzati per evitare di spartire il bottino.
Sorprendente l'interpretazione dell'ex terrorista (ma vero e stabile delinquente), da parte di Alessio Boni, "attor bello di sostanza", grande quella di Michele Placido nei panni di un commissario Digos corrotto e marcio sin nel midollo.
Ma questo terrorista da romanzo (e film) di discreto successo, dal titolo di un'indimenticata canzone anni '70 di Caterina Caselli-casco d'oro, non ha nulla a che vedere con i terroristi i cui profili emergono nitidi dal saggio della Newton Compton: in genere ragazzi di buona famiglia operaia o piccolo-borghese, spesso di estrazione cattolica, cresciuti nelle sezioni del vecchio PCI, educati al mito della Resistenza "tradita", ossia della Resistenza come guerra civile rivoluzionaria incompiuta, interrotta dalla togliattiana svolta di Salerno, dalla scelta della via istituzionale e costituzionale, sopratutto, a guardar bene, dall'accordo di Yalta, che sancì l'appartenenza dell'Italia al blocco occidentale d'influenza USA.
Il nucleo essenziale delle BR si aggregò, è noto, attorno alla prima facoltà di Sociologia italiana, la mitica facoltà di Trento dove la stessa Margherita (Mara) Cagol, moglie di Renato Curcio e prima e unica vera "pasionaria" della lotta armata, si laureò con una tesi discussa con Francesco Alberoni; e inoltre nelle fabbriche milanesi, l'Alfa Romeo di Arese, la Sit-Siemens, radicandosi ben presto anche nella Fiat torinese e nelle fabbriche genovesi.
L'interesse del libro, oltre alla ricostruzione minuziosa di tutte le "gesta" delle BR, delle loro spaccature e frazioni, della loro strategia, della risposta dell'apparato repressivo, investigativo e giudiziario, sta nella ripubblicazione di un buon numero di "comunicati" che segnarono le varie imprese, da quelle iniziali della "propaganda armata" (i primi sequestri lampo con immediato rilascio degli ostaggi, in genere quadri dirigenti delle fabbriche), a quelli della fase di "attacco al cuore dello Stato" (il sequestro Sossi, il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro, il sequestro D'Urso, il sequestro Dozier) e della successiva "ritirata strategica".
Per chi, come me, è vicino vicino ai cinquant'anni, ed era ragazzo di sinistra in quegli anni, dirigente di base della FGCI ma in contatto dialettico con i movimenti extraparlamentari, risuonano in quei comunicati concetti non alieni né "deliranti".
Operaio-massa, movimento degli studenti, proletariato organizzato, lotta di classe, padroni e padronato, vigilanza antifascista, avanguardia di classe, imperialismo erano l'universo concettuale attraverso il quale una generazione, o una buona parte di quella generazione, leggeva e ricostruiva la realtà.
I brigatisti erano parte, come riconobbe per prima credo Rossana Rossanda, dell'album di famiglia della sinistra comunista, sospesa tra aspirazioni rivoluzionarie e tatticismi di vie istituzionali al socialismo.
Certo, l'avvio di un'esperienza di lotta armata per il comunismo (le Brigate Rosse si definivano anche Partito comunista combattente) segnò una cesura indissolubile con le radici, con il revisionismo del PCI, con il movimentismo dei gruppi dell'ultrasinistra extraparlamentare; ma ancora in questi ultimi la definizione a lungo invalsa di "compagni che sbagliano" stava a significare che gli obiettivi erano giusti e i metodi, solo i metodi, sbagliati.
E invece, va detto con chiarezza, anche gli obiettivi erano sbagliati, perché la dittatura del proletariato, nell'esperienza storica, aveva già dimostrato di essere nient'altro che una dittatura, per giunta fondata su una organizzazione economica che intanto reggeva in quanto si alimentava con l'industria pesante degli armamenti, e quindi con un imperialismo socialista (l'imperialismo sovietico), niente affatto migliore di quello americano.
La via italiana al comunismo, l'eurocomunismo, il compromesso storico, la questione morale, segnarono via via il tentativo del PCI di ridefinire il proprio orizzonte politico-istituzionale senza poter rinnegare mai sino in fondo, sino alla svolta della Bolognina (bella forza, era caduta la DDR, la Romania di Ceausescu, l'Ungheria, e l'URSS di Gorbaciov si avviava alla sua rapida fine), il legame con la rivoluzione leninista.
Non so se questa generazione di piccoli bulli che crescono, telefoninodipendenti, mocciosi (nel senso di mocciani), stia meglio o peggio di quella che passò l'adolescenza in fumose (nel senso letterale che si fumava tutti e tanto) riunioni in locali più o meno fatiscenti, di cellula, gruppo, intergruppo, o rumorosi cortei lacrimevoli qualche volta di lacrimogeni, e a qualcuno andò male, tra lotta armata o rifluenza nella delinquenza comune e nella droga.
Forse è inevitabile che ogni generazione magnifichi il suo passato e critichi il presente, semplicemente perché nel passato c'è la gioventù perduta, i sogni, il delirio tipicamente giovanile di onnipotenza e immortalità.
Accadrà tra venti anni ai mocciosi-mocciani di oggi, e via così, sino alla fine dei tempi.
E accadeva duemila anni fa ai "vecchioni" del Sinedrio, che vedevano messo in discussione il proprio potere da un profeta disarmato ma pericolosissimo con le sue dottrine egualitarie e fondate sulla forza più rivoluzionaria che ci sia, l'Amore con la A maiuscola.
In fondo, la storia delle aberrazioni umane altro non è se non la storpiatura del concetto fondamentale di amore.
Ecco perché anche nel film di Soavi l'ex terrorista può segnare gli ultimi istanti di vita della sua giovane moglie, da lui avvelenata e tradita sino in fondo nella disperata e ingenua richiesta di fiducia, con la canzone della Caselli sparata a tutto volume a coprirne i gemiti di agonia.
Arrivederci, amore ciao.

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