giovedì, maggio 28, 2009

The Untouchables


Perché parlare di un film vecchio ormai di ventidue anni?
Ci sono film che si stagliano, solidi, forti di una capacità evocativa che il tempo non affievolisce, perfetti nella miscela di ingredienti che fanno di un semplice film "il film", dalla trama, alla delineazione psicologica dei personaggi, alla scelta di attori che sappiano incarnare sino in fondo il ruolo, dalle scenografie, alla fotografia, al colore, al ritmo narrativo, alla maestria della ripresa, nel gioco tra primi piani, piani sequenza, stacchi, alle musiche che del film devono saper sintetizzare l'anima poetica.
Non sono un cinefilo, ma nella mia ideale filmografia di film così se ne possono contare forse una ventina, forse una trentina
Non tutti sono capolavori, nel senso pieno e vero, certo lo sono praticamente tutti quelli di Kubrick, moltissimi di Hitchcock, parecchi di Truffaut, alcuni di Sam Mendes, alcuni di Altman, almeno tre di Francis Ford Coppola, almeno cinque di Spielberg, qualcuno di Fellini, di Dino Risi, di Monicelli, di De Sica...
Poi ci sono film in ogni caso eccellenti, che conservano una freschezza sorprendente, che visti a cinema si rivedono volentieri ad ogni passaggio televisivo.
Gli Intoccabili (The Untouchables) è un film appunto eccellente, come il suo regista Brian De Palma (di cui a parte "Mission impossible" e "Mission to Mars", film commerciali di buona fattura e nulla più, rimane memorabile "Vestito per uccidere" con un Michael Caine al vertice della sua maestria attoriale).
Eccellenti sono gli attori, da Kevin Costner (che interpreta l'agente federale del Tesoro Elliot Ness, l'uomo che sconfisse Al Capone), ad un intensissimo e ironico Sean Connery (l'umanissimo poliziotto Malone, che dalla strada, dove si era esiliato nell'assoluta estraneità all'ambiente corrotto della Polizia di Chicago, ritorna al fianco di Ness ad un ruolo investigativo), al misurato ed efficace Andy Garcia (giovane poliziotto italo-americano, il volto pulito e presentabile dell'Italia che sbarcava ad Ellis Island negli anni dell'emigrazione a frotte verso l'America), all'insuperabile Robert De Niro (che realmente ingrassato di una ventina e passa di chili, interpreta un Al Capone gigione, ironico, crudele, furente secondo un pentagramma di umori e passioni che padroneggia sino in fondo), sinanche ai protagonisti minori, come il killer dal vestito e dal cappello bianco e l'occhialuto e buffo contabile che entra nella squadra di Ness e sarà il primo a lasciarci la pelle, seguito dal coraggioso Malone.
Eccellente è lo sviluppo della trama, il ritmo narrativo, la costruzione delle immagini, la fotografia così bene virata dai toni caldi e opulenti dei grandi alberghi e palazzi dove Capone e i suoi tessono le proprie trame criminali e ne godono i frutti dorati, ai toni freddi e catramosi della Chicago notturna, memorabile -con voluta citazione alla Corazzata Potiomkin- la lunga sequenza della sanguinosa cattura del mezze maniche contabile di Capone, sulla scalinata della Chicago central station, ode architettonica al treno, all'epoca mezzo principe di locomozione, e alle grandi stazioni viste in tanti film dell'America anni trenta e quaranta, porti di terra in cui si intrecciano e di disperdono i fili di viaggiatori frettolosi o assorti, gioiosi o disperati.
Serratissima, dopo l'uccisione di Malone e la cattura del contabile di Capone, è la lunghissima sequenza del processo a Capone, la cui svolta è rappresentata dalla scoperta della lista dei giurati corrotti nelle tasche del killer biancovestito, catturato e buttato giù dal tetto del palazzo di giustizia da un Elliott Ness furente per il dileggio gratuito che il cattivone riserva all'amico Malone, che ha barbaramente sforacchiato con una sventagliata di mitra.
Perché Ness, che all'inizio della storia era un idealista convinto di poter combattere il crimine con le sole nude armi della legalità, dopo la sua dolorosa "perdita dell'innocenza" capisce che l'unico modo per battere Capone è fotterlo comunque, e non esita a ricorrere alla bugia, turlupinando il povero giudice al quale rivela che oltre alla lista dei membri della giuria corrotta da Capone, anche il suo nome figurerebbe tra quelli "comprati", e così lo costringe, superando le pastoie della procedura, a cambiare la giuria e quindi ad impacchettare Capone verso un penitenziario federale.
E poi, su tutto il film, attraverso il film, nelle sue scene, vi è l'incanto della colonna sonora, essa pure memorabile nel tema principale, dovuta all'arte inarrivabile di Ennio Moricone.
L'ho rivisto ieri sera "The Untochables", storia di come la giustizia, qualche volta, trionfa davvero, e non sempre lo fa seguendo la via maestra, ma più spesso per strade tortuose, perché tortuosi sono gli uomini, sia che siano delinquenti, sia che siano poliziotti, ladri o guardie, e al fondo anche giudici.
E del film, emblematica, è la furiosa reazione di Capone al cambio della giuria, quando capisce che il suo impero criminale è davvero crollato, e a Ness che lo sfida risponde "Ma vattene, non sei niente, sei solo chiacchiere e distintivo, solo chiacchiere e distintivo".
E forse è vero che spesso gli uomini di legge sono solo "chiacchiere e distintivo", o anche "chiacchiere e toga".
Ma qualche volta no.
Per fortuna.

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