Ho finito di leggere il "monumentale" saggio di Paolo Cucchiarelli dedicato a "Il segreto della strage", edito da Ponte alle Grazie, che fatica a conquistare posizioni nelle classifiche dei saggi più venduti.
Certo un libro di oltre seicento pagine, fitte di fatti, nomi, persone, ricostruzioni, ipotesi ragionate, non è, per sua natura, destinato ad un pubblico amplissimo di lettori; e l'argomento, ormai storicizzabile (dalla strage di Piazza Fontana sono passati ormai quarant'anni, l'anniversario cade il 12 dicembre 2009), richiede una conoscenza, più o meno diretta, del contesto storico, nazionale e internazionale, che non può richiedersi a chi abbia meno di cinquant'anni, e che dunque quegli anni dal 1969 in poi abbia se possibile vissuto in presa diretta.
Eppure il libro, magari in una edizione ridotta, meriterebbe di esser letto anche e sopratutto dai "giovani", se vogliono capire qualcosa dell'Italia in cui vivono, e del modo in cui la storia di questo paese è stata più volte risospinta sul terreno dell'arretratezza economica, politica, culturale, delle riforme mai fatte, della modernizzazione mai attuata, di come, insomma, un paese uscito distrutto dall guerra e che pur seppe risollevarsi con gli aiuti americani e la tenacia laboriosa del suo popolo, sia potuto approdare all'attuale stagnazione paludosa, con una classe politica vecchia, consunta, logora e inadeguata, con classi dirigenti incapaci e rapaci, con una società civile frammentata, litigiosa, priva di orizzonti ideali, in fondo conforme alla sua classe politica e alla sua classe dirigente nel verbalismo vacuo delle finte indignazioni, nell'ipocrita declinazione di inesistenti virtù pubbliche e di tangibili e incontenibili vizi privati che quelle vrtù pubbliche minano e corrompono.
Se Cucchiarelli ha ragione (e temo che abbia ragione) in fondo tutto nasce proprio da quella strage, dalla sua "doppiezza" (bombe anarchiche, che non avrebbero dovuto far morti, affiancate a bombe fasciste che, nella combinazione, produssero la strage), dalla conseguente inconfessabile verità e dalla fissazione di una verità di "comodo", accettata anche dalla sinistra storica ed extraparlamentare, che pure finì per offrire un alibi al terrorismo brigatista, dall'onda lunga del progetto di stabilizzazione autoritaria che costituiva il "core business" di piazza Fontana, che travolse anche Aldo Moro, dal successivo "accomodamento" dei governi di centrosinistra degli anni '80, con l'incapacità di avviare le riforme strutturali di cui il paese aveva bisogno, e quindi dal crollo del vecchio sistema dei partiti, con il tramonto dei regimi dell'Est, dalle "manovre" internazionali che certamente sostennero la "falsa" rivoluzione di tangentopoli, dalla riorganizzazione di un blocco moderato attorno a Berlusconi e dall'emersione di un partito territoriale che è riuscito a conquistare anche i c.d. ceti popolari, dal fallimento di una classe politica di governo di centrosinistra dominata ancora da figure vecchie e incapaci di concepire la politica altro che come gestione degli interessi, semmai in larga misura asservita agli interessi forti o addirittura direttamente partecipe di quegli interessi.
Le vicende pugliesi di questi ultimi mesi sono esemplari, nell'intreccio di vecchie furbizie politiche, populismi e caudillismi, mala sanità, mala politica, malaffare, che enfatiche declamazioni para-poetiche non riescono più ad addolcire e tanto meno a nascondere.
In poco più di un mese si è passati dalle acclamazioni frettolose di una "storica" vittoria, alle furibonde litigate sulla segreteria del PD, dalle improvvide dichiarazioni sulla Puglia come "laboratorio politico" (in cui la "grande idea" era d'imbarcare in maggioranza l'UDC casiniana, nelle sue varianti locali), alle sferzanti e ruvide parole sull'avventatezza di una inchiesta giudiziaria (le inchieste "non avventate" sono sempre quelle che riguardano gli altri, ovviamente), dalle dimenticate promesse di sciogliere il cumulo tra incarichi istituzionali e incarichi di partito alla rivendicazione del cumulo, come sia e purchessia, passando attraverso aperture a nuovi movimenti localistici che si propongono di costruire una sorta di Lega Sud trasversale, che sembra più che una coerente declinazione di un nuovo meridionalismo un tentativo di costruzione di un "nuovo notabilato" meridionale che possa giocare ancora un ruolo politico nazionale, naturalmente senza una vera idea di sviluppo del paese nel suo complesso, accettando il gioco leghista e rilanciandolo.
All'origine della "miseria" della politica attuale, di cui in fondo le "esuberanze" cavalieresche sono la parte pittoresca, non certo quella più rilevante e allarmante, stanno i fatti (e i non fatti) di quarant'anni fa, che hanno indirizzato in un certo modo la storia nazionale, in un modo che non si è saputo o voluto raddrizzare.
Ma il vero e risorgente pericolo di questa fase è che una classe politica declinante e percorsa a destra, al centro e a sinistra, da scandali di ogni tipo, cada una volta di più sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, lasciando che i soliti poteri "forti" s'incarichino di gestire un altro rinnovamento, che rischia di essere fittizio come quello seguito a tangentopoli, aprendo la strada ai soliti "tecnocrati" per una transizione che rischia poi di riconsegnare il paese a figure nuove confezionate ad hoc, in una spirale senza fine.
Cambiare tutto perché non cambi niente, secondo il vecchio insegnamento del principe di Salina.
venerdì, luglio 31, 2009
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