sabato, ottobre 31, 2009

la folla dei quaquaraqua


Un film ch rivedo sempre molto volentieri, tutte le volte che lo trasmettono su qualche rete televisiva nazionale o regionale e che riesco ad "acchiapparlo", è "Il giorno della civetta", tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia.

Oltre l'intreccio della storia, esemplare racconto di mafia della Sicilia tra gli anni '50 e '60, i personaggi che la animano sono veramente straordinari e gli attori che li interpretano praticamente perfetti: dal volto chiaro, pulito, baffuto del capitano dei C.C. Bellodi, un giovane Franco Nero in una delle sue più felici interpretazioni, ad una splendida e intensa Claudia Cardinale, vedova inquieta di lupara bianca, all'ambiguo e filosofo confidente "Parrineddu", nell'impareggiabile resa di Serge Reggiani, al grande boss Don Mariano Arena l'attore americano Lee J. Cobb (interprete tra l'altro del malavitoso boss di "Fronte del porto" e dell'irriducibile colpevolista del film "La parola ai giurati"), sino alle figure di contorno di Pizzuco e Zecchinetta.

La storia è nota: un piccolo imprenditore edile, Colasberna, viene ammazzato con un colpo di lupara in una desolata e pietrosa campagna siciliana, e un suo lavorante, Nicolosi, scompare lo stesso giorno.

Il capitano Bellodi, comandante della locale stazione dei carabinieri, capisce subito che non si tratta, come la voce pubblica alimentata artatamente dai mafiosi locali, di un delitto d'onore o di storie di corna, benché Nicolosi abbia una splendida moglie Rosa, che vive nella vana speranza che il marito ricompaia, e sulla quale si appuntano gli sguardi libidinosi degli uomini del paese.

Il confidente Parrineddu, che gioca una personale partita cercando di assicurare un equilibrio tra Stato e Anti Stato, suggerisce, allude, ma si guarda bene dal dire quello che sa, sinché messo alle strette da Bellodi, confessa che Colasberna e Nicolosi sono stati ammazzati il primo perché era un concorrente pericoloso dell'impresa del mafioso Pizzuco, il secondo perché imprevisto testimone del delitto; e che la lupara del delitto è stata nascosta nel luogo più sicuro del paese, nientemeno che la casa di Don Mariano Arena, incontestato boss locale, in rapporti di "amicizia" con onorevoli che siedono al parlamento.

Autore materiale del delitto è un piccolo delinquente locale con la mania del gioco d'azzardo, perciò soprannominato Zecchinetta.

Bellodi arresta tutti, proprio nel giorno dell'inaugurazione di un'importante strada realizzata da Pizzuco; ma poi l'inchiesta viene "aggiustata", i mafiosi sostengono che le confessioni sono state estorte, finiscono tutti scarcerati con le migliori scuse del disturbo arrecato, e il povero Bellodi viene trasferito, mentre Parrineddu finisce ammazzato e seppellito, con un tappo in bocca, sotto la colata d'asfalto della strada inaugurata in pompa magna dall'onorevole amico di Don Mariano.

Al suo posto arriva un ufficiale corpulento, dai tratti un po' bovini, una "brava persona" commentano i mafiosi che se lo guardano dalla terrazza di Don Mariano Arena, "un viso aperto", "uno che tiene famiglia".

Ma Don Mariano Arena, che ha un suo sia pur deviato senso dell'onore e del rispetto, e che sa riconoscere cose e uomini, lo guarda sprezzante e dice che "Bellodi era un uomo, questo mi sembra un quaquaraqua", con i mafiosetti minori che starnazzando come oche gli fanno eco quaquaraqua, quaquaraqua, quaquaraqua".

Così si chiude questo grande film di Damiano Damiani, che risale ormai a quarantuno anni fa, e che, caso abbastanza raro, riesce veramente ad essere all'altezza del grande romanzo di Sciascia da cui è tratto.

Perché mi è venuto in mente stamattina questo film e questo romanzo?

Una delle cose più interessanti del romanzo (e ovviamente del film) è la particolare classificazione che Don Mariano Arena, al momento dell'arresto, offre al capitano Bellodi.

Il discorso è pressappoco questo:

"Vede capitano, io divido l'umanità in cinque categorie: rarissimi sono gli uomini, e rari i mezzi uomini; sotto di questi stanno gli ominicchi, bambini che fingono di essere uomini; una razza a parte sono i ruffiani, che stanno diventando una vera folla; e al fondo della scala ci sono i quaquaraqua, che starnazzano come le oche del cortile e che sono la maggioranza. Ma lei, anche se mi arresta, è un uomo".

In questi mesi (o dovrei dire anni?) in cui molta parte della politica e del giornalismo è ridotta a chiacchiericcio quotidiano, dichiarazioni che non valgono i pochi centesimi della carta su cui sono stampate, gossip guardoni, totale decadenza dell'etica pubblica e della morale privata, nel confuso vociare dei protagonisti della scena mediatica e delle trasmissioni di cosiddetto approfondimento giornalistico (?!), nessuna esclusa, a nessun livello, da quello locale della mia città a quello nazionale, a me sembra di cogliere l'eco della indimenticabile scena finale de "Il giorno della civetta", quando i mafiosetti che circondano Don Mariano Arena, e che sono a loro volta degli autentic quaquaraqua, si danno a starnazzare proprio come oche il loro grido di esistenza.

Quaquaraqua, quaquaraqua, quaquaraqua.

1 commento:

Graziana ha detto...

Peccato che lei non scriva più ...