Moulin Rouge dovrebbe essere un c.d. film cult per gli ultimi romantici; o almeno così mi piace pensare, visto che lo è per me, fondatore di questo blog abbastanza deserto.
Moulin Rouge è un film colorato e visionario, l'unico musical che mi sia mai piaciuto e che non abbia trovato insopportabile come quelli americani degli anni '50 (a parte qualche vecchio film di Fred Astaire e Ginger Rogers, il cui fascino risiede nell'elegante leggerezza della vita che vi traspira tra passi di danza ineguagliabili e in quell'immagine stilizzata e poetica di un'America ottimista e volenterosa ancora vergine dei funghi di Hiroshima e Nagasaki, e i cui ragazzi non immaginavano ancora di buscare pallottole fatali sulle spiagge di Omaha Beach o del Pacifico).
La storia è il racconto retrospettivo di un grande amore tra un giovane scrittore squattrinato di bell'aspetto, buoni e forti sentimenti e grande cuore (un romantico anche lui) e di una fatalona soubrette che reinterpreta il ruolo della cortigiana perduta, adusa al piacere di uomini ricchi, facoltosi, annoiati, fondamentalmente "maiali".
Satin, la stella del Moulin Rouge, scambia il giovane scrittore per la persona di un vizioso e odioso riccastro che dovrebbe finanziare, e poi finanzia in effetti, una grandiosa messa in scena di un musical orientaleggiante, ambientato in una coloratissima India.
Divisa tra l'amore per il giovane squattrinato e la seduzione dell'attempato ganimede, Satin per salvare il primo dalle ire del secondo nega di amarlo, sino a spezzargli il cuore.
Ma l'amore, più forte della violenza del mondo e delle sue prudenze, trionfa alla fine in una splendida dichiarazione cantata a due voci (del giovane e della soubrette) sulle note di una celebre canzone di Elton John (veramente bellissima).
Purtroppo i grandi amori sono sfortunati e non c'è lieto fine: la soubrette muore tra le braccia dello scrittore, sul palco e nel momento del trionfo e del tripudio di folla, consumata dalla tisi.
E al giovane scrittore non resta che raccontare tra le lacrime la storia del suo grande e sfortunato amore, disseminando di pagine dattiloscritte la sua mansardina bohemiene con vista sull'insegna ormai spenta e arrugginita del Moulin Rouge.
Il succo ideologico del film è condensato in una frase che, disincarnata dal contesto, può ricordare i bigliettini dei baci Perugina, e che, nella sua semplicità, invece, rivela la forza della verità, che può apparire banale perché la verità è quasi sempre semplice ed evidente, e sono gli uomini (come genere umano) a complicarla con i loro filtri deformanti.
"La cosa più importante che puoi imparare è amare e lasciarti amare".
Questa è la frase, concentrato estremo della filosofia degli ultimi romantici.
Il film di Baz Lurhmann scorre via come un sogno o una bella favola, con la sua morale finale: il mondo può sconfiggere l'amore, ma l'amore vero sopravvive anche alla morte, e da il senso alla vita.
E' una piccola morale consolatoria?
Forse, ma per quanto piccola e per quanto consolatoria, non è meno vera delle "morali" correnti nel mondo, e di certo è più presentabile.
E su questo rilievo, titoli di coda.
sabato, marzo 11, 2006
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1 commento:
Wilecoyote, che con i marchingegni ha una grande frequentazione ma non una grande affinità, ha capito solo ora che il blog è diviso in sezioni, ed è riuscito a raccapezzarcisi un po'.
Andò a vedere Moulin Rouge, perché mi ha molto incuriosito la ua recensione.
Quanto alla confraternita, no sono completamente d'accordo: credo che gli utlimi romantici non debbano riunirsi in un chiostro claustrale, ma andare per il mondo a diffondere il verbo.
Certamente così si scontrano con un mondo sempre più cinico e arido: ma può darsi che a forza di delusioni prima o poi facciano proseliti, o che comunque ricordino agli altri l'esistenza dei sentimenti.
Ma mi rendo conto che così ora sono io che parlo come i baci Perugina.
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