sabato, marzo 18, 2006

Piccolo ritratto (e chissenefrega, dirà qualcuno?)

Tra citazioni letterarie, attualità politica, fatti di cronaca, mini-outing personali, mi accorgo che questo blog molto poco visitato (ma quei pochi valgono una folla) sta diventando una preziosa abitudine quotidiana.
Ogni giorno un pezzetto di vita e di anima, una riflessione, un'emozione, un sentimento, uno sfogo.
Così deve essere un diario, lo si scriva su carta o lo si condivida su internet.
Mi piacerebbe se questo blog diventasse per i pochi ma ottimi che lo frequentano un posto in cui condividere tutte le passioni, felici o tristi, vincenti o perdenti, grandi e piccole.
Di me ho detto qualcosa: sono un magistrato amministrativo, cioé sto nei TAR (un consigliere di Stato, tranne forse Gerry, non direbbe mai: "Sono un magistrato amministrativo", considerandolo troppo riduttivo), vengo dalla magistratura ordinaria, dove ho fatto il pretore mandamentale ante-riforma del 1989, e poi il giudice di una sezione penale del Tribunale di Bari, sono sposato senza figli, sono componente del chiamiamolo per intenderci C.S.M. dei giudici amministrativi (cioè dei magistrati di TAR e Consiglio di Stato), in questo periodo quindi sono una settimana si e l'altra no a Roma, che sento sempre più come la mia città, e in cui ho deciso di trasferirmi comunque vada.
Sono stato un giovane comunista, nell'Italia in bianco e nero dei primi anni '70, di quelli che gridavano nei cortei "Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer", quando le domeniche si faceva la diffusione militante dell'Unità (che era ancora l'organo del PCI), ne sono uscito nel 1976 per insofferenza al centralismo democratico e anche al compromesso storico, subii il fascino e la delusione della stagione effimera del primo Craxi, quando la rivista Mondo operaio era un punto di riferimento culturale, non amo questa seconda repubblica molto più impresentabile e cialtrona della prima, leggo il Corriere della Sera, anche se negli ultimi due anni sta perdendo molto della sua autorevolezza, qualche volta il Foglio, che pur schierato mi fa sorridere per una certa impostazione ironica e autoironica, qualche volta Il Sole 24 ore, giusto per capire gli scenari globali.
Mi interessa la politica, interna e soprattutto estera, e vorrei che potesse essere declinata come una vera e autentica passione civile, di fare per cambiare e modificare in meglio da una città a una regione a una nazione al mondo.
Sono tifoso dell'Inter, forse l'unico esempio di ex milanista pentito; ma da ragazzo tifavo Milan solo perché ci giocavano Gianni Rivera e Pierino Prati, poi per lungo tempo mi disamorai del tutto del calcio, anche perché non mi piaceva il Milan stellare di Sacchi, Capello, Berlusconi, Van Basten e compagnia cantante; tiferei anche per il Bari, se fosse qualcosa di meno squallido e misero di quello cui lo ha ridotto la gestione sparagnina dei Matarrese, i quali avendo subito la confisca di Punta Perotti hanno deciso di far pagare alla città questo rifiuto (erano potentissimi tra la fine degli ottanta e i primi anni novanta).
Sono ovviamente romantico, tenero, illuso, passionale, e spero del tutto leale (un libro aperto dicono, ma quanta fatica scriverci ogni giorno...).
Fumatore più che accanito, in eterna lotta col peso, già soggetto panicoso (ho sofferto di DAP, cioé disturbi da attacchi di panico), incline a fratturarmi (frattura a scoppio della rotula nel 1996, frattura disallineata della tibia nel 2001) in modo peraltro banale e mica in competizioni agonistiche.
Come outing riassuntivo, per il momento va bene.
Buona serata, confratelli romantici.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggendo il tuo "piccolo ritratto" mi accorgo che ci sono dentro quasi tutte le tappe della mia vita: che sia il percorso di una generazione?
Mi ha colpito molto un passaggio, che mi accomuna a te ma che invece finora avevo vissuto come esperienza piuttosto isolata: l'iniziale attrazione, e poi la profonda delusione, verso quella che Leonardo Sciascia chiamava "la chiesa di fronte", quella comunista.
Finora avevo vissuto il rifiuto del dogmatismo comunista, e post-comunista, come una forma di isolamento.
Chi, in gioventù, ha avuto simpatie comuniste, o è ancora lì (nel senso che incarna il grigiore diessino efficacemente immortalato da Nanni Moretti nella scena in cui invita D'Alema a dire qualcosa magari "di civiltà"), oppure si è "evoluto" secondo lo stereotipo che ci vuole tutti comunisti da giovani e capitalisti senza scrupoli in età "matura" (e non so quale delle due tipologie mi fa più pena).
Con la consapevolezza, in ogni caso, di appartenere ad una delle due chiese che governano il mondo.
In mezzo a tante bellissime e dotte citazioni che riempiono il tuo blog, ne ho trovata un paio molto meno auliche, ma che spiegano bene da un lato le motivazioni (la prima), e dall'altro la delusione (la seconda) verso certi ingannevoli miti della nostra gioventù.

"Per ora rimando il suicidio
e faccio un gruppo di studio,
le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani,
far finta di essere sani". (Giorgio Gaber, Far finta di essere sani)

"Ed è normale che ci si sia rotti i coglioni
di passare la vita in dibattiti e riunioni
e che invece si cerchi di trovare
nella pratica un sistema per lottare". (Eugenio Finardi, Cuba).

leospagnoletti ha detto...

Era una vera chiesa quella comunista, e aveva i suoi processi "canonici" e le sue "scomuniche".
Io, ad esempio, ho subito quello che veniva definito il processo di autocritica per aver aderito, a titolo personale, a uno sciopero indetto dai gruppi extraparlamentari (che allora erano una cosa forte e seria, mica questi quattro cialtroni dei centri sociali, anarco-insurrezionalisti e no global arcobaleno.
Erano i tempi in cui un Berlinguer atterrito dalla "variante" cilena, aveva orientato il PCI verso un moderatismo accomodante per rassicurare gli amerikani (col k come si scriveva allora) e i ceti borghesi medio-alti. Quindi niente commistioni coi "gruppuscoli" della estrema sinistra (come pure li si definiva allora, ma erano tutt'altro che piccoli e ininfluenti).
Il processo si svolse così: tutta la segreteria cittadina e forse provinciale della FGCI da un lato, io e altri due compagni che avevano sbagliato dall'altro.
Lo confesso, feci un'autocritica piena di se e ma, non ebbi il coraggio di mandarli a quel paese.
Ma all'epoca la sola idea di una scomunica e di un'espulsione mi provocava una frattura esistenziale.
Era una chiesa, come ricorda bene Giovanni, e come aveva detto nel suo solito modo Leonardo Sciascia (che piacere condividere il nome di questo grande uomo e scrittore!).
E come in ogni chiesa c'erano dogmi, verità rivelate, disciplina.
Essere espulso significava confondersi coi "fuoriusciti", stirpe dannata, perdere l'identità socio-politica, soprattutto essere bollato come "traditore".
Il PCI era una chiesa-mamma, e il distacco non meno doloroso che da una chiesa e una madre.
Ne uscii meno di due anni dopo, e con grandissima sofferenza lo stesso.
Isolamento, dice Giovanni. Ebbene lo provai anche io quell'isolamento e per almeno due-tre anni; nel migliore dei casi incontravo l'ironia dei compagni, nel peggiore il disprezzo.
Sono i prezzi che si devono pagare per essere un uomo libero.
Nonostante tutto non mi pento di quelle esperienze politiche giovanili e le rifarei.
E per fortuna sono sfuggito sia al grigiore diessino, che ai girotondi morettiani, che al rovesciamento esistenziale dell'incondizionata adesione ai valori del carrierismo, rampantismo, capitalismo.
Ma forse è proprio per questo che mi manca un partito di sinistra che sappia coniugare riformismo e basi ideali più alte, che sappia parlare un linguaggio di vera e autentica passione civile, che non razzoli diversamente da come predica.
E' per questo che, anche se se lo sono cercato, m'intristisce anche la diaspora socialista in uno spezzatino di siglette tese solo a cercare uno spazietto parlamentare (e pensare che era il più antico partito italiano).
E' per questo che non sopporto il movimentismo ora temperato e più buonista di Bertinotti, e il veterocomunismo di Diliberto, l'ambientalismo vacuo di valori di Pecoraro Scanio.
E' per questo che non riesco a farmi piacere Prodi, boiardo di Stato che era una seconda o terza fila della prima repubblica, e, non dimentichiamolo, uomo di De Mita.
Siamo orfani di un partito di sinistra che non c'é, temo.
Con tutti i suoi limiti la vecchia chiesa comunista era almeno una cosa seria: non la rimpiango ma ne rispetto la memoria.
Buona domenica, confratelli benedetti.