sabato, marzo 18, 2006

Tra amore sacro ed amor profano

Qualche giorno fa ho parlato di una bella recensione a "I segreti di Brokeback Mountain", inedita storia di amore gay tra due rudi cowboys. Mi viene in mente un altro film che racconta con grande delicatezza e forza di una storia gay, di discriminazioni, di una lotta giudiziaria tenace per affermare la dignità di un giovane e promettente avvocato, sbattuto fuori da uno di quei megastudi americani perché scoperto gay e per giunta malato di AIDS.
"Philadelphia" il film di Jonathan Demme, con un immenso Tom Hanks, un intenso Denzel Washington e una delle poche interpretazioni decenti di Antonio Banderas, che si apre con campi sequenza di città e folla sulle note struggenti e intimiste di "Streets of Philadelphia" di Bruce Springsteen.
Ho visto questo film almeno tre volte, e mi ha sempre commosso: perchè è la storia di una ingiustizia, di una discriminazione, dell'ottusità di circoli professionali e sociali benpensanti, e in realtà della paura dell'altro e della diversità.
Ho già detto che sono un eterosessuale monodirezionale, non mi piacciono i gay pride, l'ostentazione di una diversità quanto vuole farsi superiorità e corre il rischio di diventare un'intolleranza inversa.
Ma credo che film come "I segreti di Brokebak Mountain" e "Philadelphia" aiutino a guardare oltre pregiudizi e idiosincrasie, a capire come la sostanza di ogni storia di amore, anche omosessuale, sia la verità e la profondità rivoluzionaria dell'amore. E in fondo, se è vero, come ho letto da qualche parte, che l'amore umano è il riflesso dell'amore di Dio per gli uomini, una pallida imitazione certo di questo amore divino, non vedo perché non si debba riconoscere dignità a questo amore, sia che sia rivolto da un uomo a una donna, o da una donna a un uomo, sia che sia rivolto da un uomo a un uomo, o da una donna a una donna.
Concessioni al relativismo etico, pericolosa deriva verso un giustificazionismo?
Non lo so, ma non credo, forse solo una consapevolezza, a quasi cinquant'anni, che la vita è più complicata e variegata, e che ognuno ha una sua strada, forse sbagliata, ma che deve percorrere seguendo il cuore.
Lettore quasi onnivoro, scopro ogni tanto brandelli di verità anche nelle rubriche dei "magazine".
Sull'ultimo numero di Io donna, in allegato al Corsera di ieri, c'è un interessante articolo, ad esempio, di Giorgio Abraham nella sua consueta rubrica, il cui succo è che le dinamiche amorose sono in fondo le stesse sia nei rapporti eterosessuali che in quelli omosessuali, salvo in questi ultimi la complicazione che uno dei due partners possa non accettare sino in fondo i propri orientamenti sessuali.
Ciò che però mi ha colpito, e che voglio sottolineare e lasciare alla riflessione, è la chiusa di questo articolo.
"Certo l'amore, etero o gay, ha leggi universali, uguali per tutti: la persona di cui ci si innamora appare insostituibile, soprattutto quando non c'è più. Ma invece di considerarla come un oggetto da possedere, bisogna poterla comprendere, consigliare, sostenere, aiutarla a scegliere il proprio cammino. Anche se andava in direzione opposta ai nostri interessi egoistici".
E' questa l'essenza di amare: rispettare chi si ama per quello che è, che vuole, desidera, accettarne anche il tradimento, il rifiuto, l'abbandono.
Amare vuol dire anche amare la libertà dell'altro.
Un amore così dovrebbe essere, e spesso lo è, quello dei genitori verso i figli, soprattutto delle madri verso i figli.
Un amore così, sfrondato di tutte le sovrastrutture ecclesiologiche, è l'amore di Dio, che ha inventato il libero arbitrio.
Ed è questa la superiorità, devo proprio dirlo, del Dio cristiano rispetto a quello musulmano: Dio ci lascia liberi di amarlo o di non amarlo, e accetta il nostro amore solo se è un atto di libertà. Non è un despota e un tiranno come Allah, non è un'algida figura inarrivabile, dinanzi a cui genuflettersi in ondeggiamenti rituali (in questo i musulmani pregano in modo abbastanza simile agli ebrei, e anche Giavé è un tipino...); è un Dio di amore, quindi di libertà.
Mi viene in mente che oggi è San Giuseppe, forse il santo più noto e assieme nascosto e misterioso, poche righe nel Vangelo, una presenza nell'ombra schiacciata tra Gesù e Maria, un santo discreto insomma, che per amore sceglie un amore disincarnato, platonico.
Tornando a Philadelphia, è bellissima la scena finale, in cui parenti e amici del giovane e sfortunato avvocato, morto di AIDS, si ritrovano nella casa dei suoi genitori per festeggiarlo con semplicità, serenità, poche lacrime e molta voglia di vita.
Questi americani qualche volta hanno qualcosa d'interessante da dirci.

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