sabato, aprile 15, 2006

MONDO CANE


Da Msn News leggo una notizia dell'Ansa sulla solita aggressione di un pit-bull, il ferimento di malcapitati passanti, l'abbattimento dell'animale.
Mi viene da pensare che non ho mai avuto un cane. Non in prima persona. Parecchi cani, invece, hanno attraversato la mia vita.
Amo i cani, odio i gatti: è banale dirlo, ma non riesco a non rientrare in questa manichea distinzione tra cinofili e gattofili, secca alternativa partigiana tra le tante "filie" e "idiosincrasie" di cui è costellata la vita.
D'altra parte, non ho scelta: sono nato nel 1958, che per l'astrologia dell'ex celeste impero, è uno degli anni del segno zodiacale del "Cane".
Da uno dei tanti siti astrologici si apprende che il segno del Cane ha tutti i caratteri che si attribuiscono all'animale: onestà, intelligenza, sensibilità, socialità, altruismo, incredibile fedeltà all'oggetto del suo affetto, collericità che sfuma presto (can che abbaia...).
Certo, a pescare nella mitologia greca, ripresa dal Sommo Poeta, non mi pare che Cerbero, il cane a tre teste a guardia dell'Ade, possedesse molte di queste qualità. Cane latrante, furioso, dagli occhi di bragia (quasi come "Caron dimonio"), è proprio un "cane da pastore" infernale; e se le sue greggi sono i dannati come potrebbe, povera bestiola, esser diverso e amichevole, via?
Per fortuna dal mito greco, e dalle pagine del libro XVII dell'Odissea, sorge il cane vero, fedele per antonomasia, Argo il cane d'Odisseo, che giacendo "negletto" e "di turpi zecche pien", alla vista dell'amato padrone, "squassò la coda festeggiando", cercò di alzarsi sulle stanche zampe per farglisi incontro e alla fine, felice di averlo ritrovato, e quasi che avesse aspettato di finire l'istante del gioioso ritrovamento, "gli occhi nel sonno della morte chiuse".
Rendo dunque omaggio, con questo post (che poi è la versione telematica di un "pizzino", a ben pensarci), ai cani della mia vita.
Dalla mia infanzia e dalla televisione quando era uno scatolone a valvole con schermo piccolo, tutta di legno lucido, e sgranate immagini in bianco e nero, riemergono due grandi cani: Rin Tin Tin e Lassie.
Rin Tin Tin, col suo giovane amico Rusty, piccolo bambino adottato da un forte dei nordisti, hanno popolato i pomeriggi televisivi dei primi anni '60 (la serie americana fu girata tra il 1954 e il 1959), quando puntuale, credo alle quattro e mezza-cinque, iniziavano i programmi proprio con "la Tv dei ragazzi". Splendido pastore tedesco, coraggioso, intelligentissimo, Rin Tin Tin sembrava balzare dallo schermo, pieno di energia, pronto a risolvere ogni piccolo o grande problema dello scalcinato forte, popolato da improbabili soldati e sottufficiali interpretati da indimenticabili attori "caratteristi".
Lassie ebbe storia più lunga e maggior fortuna, dalla sua prima apparizione nel film del 1943 "Torna a casa, Lassie" alla lunga e fortunata serie televisiva. Lassie era un collie, bello, affilato, fulvo, coraggioso, intelligente, ma, diciamolo pure, un cane borghese, un po' snob, tutt'altra storia rispetto a Rin Tin Tin.
Incarnando però l'ideale del cane borghese della famiglia media americana (quel posto che ormai è stato preso da altre razze, come il labrador) degli anni '40-60, Lassie ha attraversato più di mezzo secolo di storia cinematografica e televisiva, fino all'ennesimo remake del 2005.
Come dimenticare però i cani dei cartoon?
Pluto, bracchetto dalla coda e orecchie filiformi, buffo, pasticcione, coraggioso a corrente alternata, inseparabile dal suo Topolino, come l'altro cane umanizzato Pippo, goffo, inconcludente, bislacco, ma a volte più saggio del saccente Topo perfettino, incarnazione del mito dell'Uomo moderno americano, tutto pieno di valori, buoni sentimenti, patriottico, tutto d'un pezzo.
Braccobaldo Bau, cane un po' saccente, risposta assolutamente inadeguata ai cani della Disney da parte della rivale "Hanna & Barbera", celebre più che altro per il suo motivetto "Ci siete tutti? Siamo tutti qui, e tutti insieme vogliam vedere Braccobaldo Show", sigletta inaugurale delle avventure dei cartoons dela H&B.
Ma dopo questi cani di celluloide, sia reso onore e merito ai cani in carne e ossa (da spolpare).
Il primo che ricordo è Pussy. Era una splendida cagnetta cocker, che mio fratello Mario aveva comprato (credo pagandola uno sproposito) da un allevamento per regalarla ad una delle sue prime fidanzate. Fatto sta che pochi giorni dopo il fidanzamento finì, e come si usava allora (la cosa era oggetto di apposito istituto del diritto privato, con radici nel diritto romano classico) gli sfidanzati si ritornavano i rispettivi regali. Fu così che una sera (avrò avuto dieci-dodici anni) vidi in casa questa cagnetta, color champagne, dal pelo lungo setoso, le orecchie morbide e interminabili, gli occhi liquidi adoranti e sognanti.
Era uno spettacolo Pussy quando le si faceva il bagno, grondante acqua da ogni pelo, da spazzolare per ore, forse, e una volta ricordo che le facemmo una fotografia con una cuffietta in testa del mio fratello più piccolo (chissà dove è finita quella foto?), cui lei si prestò con la sopportazione e rassegnazione dei cani di casa, che sanno che per guadagnarsi la ciotola di riso e carne devono subire qualsiasi tortura.
Purtroppo, dopo pochi anni divenne difficile tenerla in casa e così fu regalata credo a qualcuno di Reggio Calabria. E mi piace pensare che la piccola Pussy abbia emesso i suoi ultimi guaiti guardando il cielo chiaro dello stretto, e magari sognando la Sicilia, così vicina e così lontana; o ripensando alla sua prima esperienza di vita, e ai suoi primi padroni.
C'é stato poi un secondo cane (come sempre sbolognato alla mia pazientissima madre, non per caso adorata dai cani di casa). Si chiamava Mirko era uno yorkshire piccolissimo, pelosissimo, buffissimo, che da cucciolo sembrava una scimmietta, anche questo un regalo ricevuto questa volta da mia sorella. Ricordo che mio padre buonanima gli era particolarmente affezionato e sotto al tavolo gli lanciava pezzetti di cibo, che Mirko, come tutti i cani si affrettava a ingozzare, fosse stato anche satollo sino a scoppiare.
Lui pure seguì la sorte di Pussy, fu regalato nonsoachi, e credo che ormai abbia raggiunto il paradiso dei cani da un pezzetto.
C'è stato poi un terzo cane, ma io ormai ero via dalla casa familiare d'origine da molti anni, e di lui (anzi di lei, era una bastardina) non ho avuto particolare consuetudine o grandi ricordi.
Un posto centrale, invece, in questa mia "vita coi cani" (degli altri) lo ha svolto un incrocio, devo dire davvero molto bello, credo tra un pastore tedesco e un pastore belga, col risultato di una cagna color terra chiara, e per questo forse chiamata Gea.
Gea era il cane di Vito e Mariella, cioé mio cognato e sua moglie (che giuridicamente non è cognata, adfines inter se non sunt adfines), cane umanizzato forse oltre ogni limite umano, coccolato come e più di un figlio, molto caciarone (i benzinai lo ricordano ancora perché non potevano avvicinarsi a far benzina alla macchina di mio cognato senza scatenarne il furioso abbaio), forte, atletico, pieno di energia, golosissimo e praticamente onnivoro (ghiotto anche credo di formaggio, con risultati devastanti quanto a puzze che poi la povera bestia rilasciava...!).
Ebbe un'unica gravidanza, dopo un incrocio con un boxer, e ne nacque una nidiata di cuccioli devo dire abbastanza bruttarelli, che però Gea come una novella Medea canina e per insondabili ragioni biologiche (forse non aveva latte abbastanza per tutti) soppresse uno a uno.
Più o meno all'età di dodici anni, e poiché putroppo anche i cani invecchiano e si ammalano, fu colpita da una paralisi spinale, ed era a ripensarci davvero triste vederla trascinarsi con le zampe posteriori inerti. Una iniezione letale e pietosa pose termine alle sue sofferenze. La seppellimmo in collina, su uno dei terrazzamenti del mio trullo a Selva di Fasano, in una fredda serata di ottobre. Lo strato di terreno vegetale è poco sul pietroso e basso altopiano murgiano, di cui Selva costituisce uno dei contrafforti meridionali; e così con mio fratello Mario, improvvisatici muratori e rischiando un infarto per la fatica, completammo l'opera pietosa del seppellimento, a distanza di qualche giorno, con un cumulo di pietre e una colatina di cemento impastato non so nemmeno io come lì per lì.
Ecco, questi sono stati i cani principali della mia vita.
Perché non ne ho mai preso uno, mio?
Avrei voluto, certo; ma poi varie vicende familiari, e la coscienza (almeno questa) che un cane non è soprammobile di casa e che richiede tempo, attenzione e cure, mi ha distolto, per ora, dalla scelta di prenderlo.
In futuro, forse, chissà.
Auguri a tutti i pochi ma fidati (anzi fidi, come da outing canino) visitatori del blog.

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