sabato, aprile 29, 2006

PER UN VOTO MAR(T)IN PERSE LA CAPPA


Il "lupo marsicano", al secolo sen. Franco Marini, non ce l'ha fatta a conquistare lo scranno più alto di Palazzo Madama nella prima, convulsa e tormentata riunione del Senato.
La "vecchia volpe", sen. (a vita) Giulio Andreotti, almeno per la prima riunione non è finito "in pellicceria" (secondo un celebre vaticinio di Bettino Craxi, rilevatosi fallace dato che il leader del PSI ha finito i suoi giorni in terra straniera e il divo Giulio ha superato ormai gli ottantasette anni e due processi "del secolo").
La seduta del Senato è stata tesa, concitata, piena di colpi di scena.
Secondo le dichiarazioni e previsioni della vigilia, Marini avrebbe dovuto conseguire senza grandi travagli i 162 voti (maggioranza assoluta dei componenti del Senato, ossia la metà + 1) necessari, a termini di regolamento di quel ramo del parlamento per l'elezione nei primi due scrutini.
Tra l'altro a favore di Marini avevano manifestato la propria preferenza la gran parte dei senatori a vita, compresa Rita Levi Montalcini che pure vanta una amicizia personale con Andreotti e la moglie Livia (e che secondo qualche voce, non smentita da Andreotti, deve il laticlavio vitalizio anche ai buoni uffici del divo Giulio).
La novantasettenne professoressa senatrice, pur presentandosi al vito, aveva declinato la presidenza provvisoria dell'assemblea, che le spettava, sempre a termini di regolamento, in quanto senatore "più anziano per età".
La presidenza provvisoria è stata quindi assunta dal secondo più anziano, il sen. Oscar Luigi Scalfaro, già Presidente della Repubblica ante-Ciampi.
Il primo scrutinio si è svolto nella mattinata, con seguente risultato:
Marini voti 157, Andreotti voti 140, Calderoli voti 15, Giulio Marini voti 1, bianche 5, nulle 4.
La Lega, tenendo fede alle dichiarazioni della vigilia, in prima votazione aveva fatto convergere i voti sul candidato "di bandiera" Calderoli, che ha poi spiegato ai microfoni della Rai che in tal modo si voleva "testare" la forza propria di Franco Marini.
Nel pomeriggio alla seconda votazione il colpo di scena: Marini arriva e supera di un voto la soglia di 162, scattano i tradizionali applausi dai banchi del centrosinistra, il "lupo marsicano" si fa largo verso Andreotti per concedergli l'onore delle armi, ma la proclamazione non arriva. Conciliaboli dei sei senatori segretari (che costituiscono l'ufficio elettorale del Senato costituito come collegio elettorale), che secondo regolamento sono i senatori "più giovani presenti alla seduta", che chiedono consiglio a Scalfaro, il quale rifiuta ritenendo che i suoi poteri di presidente provvisorio dell'assemblea gli consentano solo la proclamazione degli eletti.
E' accaduto che tra i 162 voti ve ne sono ben tre espressi per "Francesco Marini": ma Francesco Marini non esiste anagraficamente, il "lupo marsicano" si chiama proprio "Franco", nato il 9 aprile 1933, quindi non può ritenersi inequivoca la volontà di votare proprio lui, come se anagraficamente fosse "Francesco" e si facesse chiamare per consuetudine "Franco" (alla Camera si è svolto un gustoso "siparietto" a proposito dei pochi voti espressi per "Luxuria", anziché per Vladimiro Guadagno, ritenuti validi perché lo pseudonimo "Vladimir Luxuria" ha ormai assunto importanza preminente sulle vere generalità, e tutti conoscono l'onorevole "transgender" come Luxuria, pochissimi come Guadagno).
E' vero molti senatori sono "matricole", ma appare difficile pensare che quei tre voti siano frutto di ingenuità. A molti (ovviamente della CdL, ma anche qualcuno dell'Unione, come il pdcino Marco Rizzo, ospite su Rete 4 della Pivetti) sembrano un "segnale" (si parla anche di "pizzini") con l'intento di dare la prova "provata" di un voto che evidentemente era in bilico, o peggio oggetto di trattative per contropartite di governo o sottogoverno (e qui molti pensano, maliziosamente e senza prove, a Mastella, e alla partita per il Ministero della difesa).
I giovani senatori dell'ufficio elettorale (quattro unionisti e due polisti) non riescono a raggiungere un accordo, a stilare un verbale e quindi Scalfaro, per superare lo stallo, decide di ritenere nulla l'intera votazione, riconvocando il Senato per le ore 20.30.
La decisione non mancherà di suscitare polemiche, perché se la votazione fosse stata ritenuta valida si sarebbe dovuto rinviare al giorno successivo, cioé ad oggi, e procedere al terzo scrutinio, nel quale basta secondo il regolamento "la maggioranza assoluta dei presenti". E' vero anche però che la ripetizione del secondo scrutinio mantiene intatta l'esigenza della più alta maggioranza assoluta dei componenti del Senato, e quindi rende più difficile l'elezione del favorito Marini.
Insomma, è difficile sostenere che la decisione di Scalfaro sia "squilibrata", anche se sull'ex presidente della Repubblica piovono critiche poliste perché nella qualità di presidente provvisorio dell'assemblea, si sostiene, si sarebbe dovuto astenere dal votare (e si sa che come ha dichiarato lui vota per Marini). Comunque sono questioni opinabili perché vi sono esempi in un senso e nell'altro nella prassi parlamentare, e l'interpretazione delle regole di "galateo" istituzionale è ovviamente a sua volta opinabile.
Qui accade però un secondo "colpo di scena". Dopo che Scalfaro aveva comunicato la ripresa dei lavori per le 20.30, si "rettifica" e fissa l'orario delle 22.00, pare di capire perché, come lui dice (vedremo lo stenografico dei lavori) aveva ricevuto richieste ubique in tal senso.
I polisti insorgono: l'orario, si dice, avrebbe dovuto essere concordato in aula, richieste "formali" non ce ne sarebbero state, il rinvio alle 22.00 viene visto come l'espediente per consentire il rientro a Roma o comunque al Senato di quei senatori di centrosinistra che troppo frettolosamente sarebbero andati via dopo l'applauso "funesto" della seconda votazione annullata.
Lo dice, in apertura dei lavori alle 22.00, Schifani, lo ripete Matteoli, lo ribadisce a chiare lettere Castelli, mentre Angius rigetta quei sospetti ed evidenzia come la scelta di ripetere la seconda votazione è la più garantista.
Scalfaro a sua volta precisa, e sembra un pochino mortificato e un po' stizzito.
Riprende la votazione, al termine della quale si fa anche una seconda "chiama" per i senatori risultati assenti al primo appello (e anche qui pioggia di polemiche perché nel primo e nel secondo scrutinio annullato non ci sarebbe stata la seconda chiama).
Questa volta lo scrutinio procede nel silenzio più assoluto, nessuno azzarda applausi o previsioni, ma dopo l'ultima scheda dai polisti partono grida di "mancato, mancato", "a casa, a casa".
I senatori segretari contano, ricontano, discutono, chiedono di riunirsi separatamente e Scalfaro sospende la seduta (non senza ulteriori polemiche perché si sostiene da alcuni che il seggio elettorale deve compiere tutte le operazioni in seduta pubblica, in aula).
Alle 2.00 della mattina il risultato: Marini 161, Andreotti 155,5 schede bianche, 1 scheda nulla.
Anche questo voto non mancherà di suscitare polemiche: una scheda nulla è tale perché reca solo il cognome "Marini", e quindi è assolutamente incerta la sua attribuzione (c'é anche un senatore Giulio "Marini", già votato come tale nel primo scrutinio (ma Scalfaro non lo sapeva e ha commentato, suscitando ilarità nell'assemblea: "E' una sintesi"). Una delle schede considerate valide sarebbe stata invece votata come "Francesco Marini", e se così fosse ci sarebbe una contraddizione rispetto a quanto deciso in occasione dello scrutinio annullato.
Dunque, nulla da fare, si deve andare alla terza votazione, a partire dalle 10.30 di sabato.
Nella terza votazione è sufficiente la maggioranza (metà + 1) dei senatori "presenti", e se nemmeno in questa uno dei candidati ottiene l'elezione, i due candidati più votati vanno al ballottaggio nella stessa giornata, e risulta eletto chi consegue la maggioranza anche relativa, e in caso di parità il più anziano di età (e cioé Andreotti).
Fin qui la cronaca nuda dei fatti.
Le valutazioni politiche sono abbastanza facili: l'Unione sino a questo momento, e nonostante il voto (prevalente) dei senatori a vita, non riesce a spuntare la maggioranza al Senato; ci sono stati tre "franceschi" tiratori, come li ha definiti con una battuta al vetriolo Andreotti, che sembrano il segno di "maldipancia" nella risicatissima maggioranza, e che con quella strana preferenza "Francesco Marini" hanno forse voluto lanciare un segnale a Prodi e ai Capi partito dell'Unione, in vista di partite da giocare sulla composizione del governo e l'attribuzione dei ministeri. E' anche vero però che Andreotti non ha sfondato il muro delle 155 preferenze, ossia di quei 140 voti del primo scrutinio cui si sono uniti i voti della Lega, e quindi non riesce a pescar voti nel campo avverso, nonostante il suo prestigio e autorevolezza.
Stamane Marini dovrebbe essere comunque eletto, perchè un risultato diverso travolgerebbe la stessa ipotesi del mandato governativo a Prodi, aprendo una fase d'incertezza tra un improbabile governo di larghe intese e un esecutivo tecnico con maggioranza trasversale.
Comunque la si voglia giudicare, l'intera vicenda testimonia un pericoloso avvitamento della situazione politica e istituzionale: la spaccatura continua nel dopo voto, il Governo Prodi rischia di vivere sotto l'incubo continuo di una crisi, i voti al Senato rischiano di dar vita a continui "mercanteggiamenti", con poteri d'interdizione e condizionamenti attribuiti ai senatori "border line", non chiaramente schierati con l'Unione o la CdL.
E se si riflette sugli scrutini alla Camera con i voti di protesta a favore di D'Alema (cresciuti nel corso degli scrutini sino a 70, e pur considerando che parte di essi possa venire proprio dalla CdL per seminare divisioni e imbarazzi), non c'è comunque da gioire, in nessun senso.
L'Italia si è rotta veramente, questa volta.

1 commento:

monarchico ha detto...

Stiamo assistendo ad uno spettacolo desolante.

Speriamo solo che finisca tutto presto,
la repubblica è alla frutta.

W la monarchia!